Un rapporto del Wwf spiega come inquinamento, turismo e iper-sfruttamento delle risorse stiano riducendo in maniera quasi irrecuperabile la quantità di pesce che nuota nei mari del pianeta

Tre miliardi di persone nel mondo affidano al mare il loro approvvigionamento di proteine. E più del 10 per cento si sostenta grazie a pesca e acquacoltura. Ma la popolazione di mammiferi marini, uccelli, rettili e pesci si è dimezzata negli ultimi quattro decenni. Insomma, tra inquinamento, cambiamento climatico, sovrasfruttamento delle risorse ittiche, stiamo perdendo buona parte di ciò di cui ci nutriamo.

Fin qui la freddezza dei numeri, ma veniamo alle nostre tavole. Le scatolette di tonno e sgombro che ci salvano la sera quando il frigo è vuoto sono le più a rischio: la riduzione degli stock, così si chiamano le quantità disponibili, è addirittura di tre quarti (il 74%) tra il 1970 e il 2010. Ne peschiamo (e ne mangiamo) più di quanto gli ecosistemi marini ce ne possono fornire.

In una sola generazione abbiamo sconvolto gli equilibri oceanici. E non solo in riferimento al pesce che troviamo al mercato. Living Blue Planet, un dossier del Wwf internazionale diffuso oggi registra il dimezzamento del “reef building” nelle barriere coralline (ma la metà dei coralli del pianeta è già “andata”) e un calo di un quinto delle mangrovie tra il 1980 e il 2015. E se la temperatura globale continua a salire, il mare diventa una casseruola che cuoce e “brucia” tutto ciò che contiene. Per questo è importante l’appuntamento di Parigi, il prossimo dicembre: la cosiddetta Cop21 (la Conferenza delle parti sul clima) dovrà raggiungere un accordo su obiettivi efficaci e al tempo stesso concreti di riduzione delle emissioni che provocano il surriscaldamento globale.

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(Cosa produce la scomparsa delle specie marine? Deforestazione, plastica in mare, turismo, estrazioni e trivellazioni, inquinamento prodotto dalle grandi navi: un’infografica da Living Blue Planet – Wwf)

Ancora una volta numeri che sembrano riguardare “cose lontane”, ma – spiega il responsabile del Wwf Internazionale Marco Lambertini – «il rapporto in genere è biennale, ma abbiamo deciso si pubblicarlo dopo un anno per amplificare la sirena d’allarme: questi cambiamenti non riguardano il futuro, ma la nostra vita adesso. Ed è ora che si può e si deve correggere il corso delle cose».

Perché, come il famoso battito di ali della farfalla, tutto si ripercuote sul nostro quotidiano. Non a caso il sottotitolo del dossier è “Specie, habitat, benessere umano”. Pensiamoci la prossima volta che apriamo la dispensa in cerca della scatoletta: ci salverà la cena ma tocca a noi agire per salvare lei.

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