Dopo un vertice con Tosi, il punto con Verdini e due conti sui fuoriusciti 5 Stelle, il premier pensa di poter fare a meno dei voti in dissenso della minoranza Pd

La forzatura di Matteo Renzi e l’ennesima resa dei conti nel Pd prende questa forma asettica, nelle comunicazioni ufficiali del Senato: «La Conferenza dei Capigruppo, che si è riunita nel pomeriggio di mercoledì 16, ha deciso che l’avvio della discussione in Aula del disegno di legge n. 1429-B (revisione della Parte II della Costituzione) avrà luogo nella seduta di giovedì 17 settembre. Il termine per la presentazione degli emendamenti è stato fissato per le ore 9 di mercoledì 23». Come si comporterà la minoranza dem, lo capiremo lunedì, quando alle 15,30 comincerà la direzione, convocata appositamente dal premier-segretario per avere un voto su cui richiamare alla responsabilità i senatori che oggi sollevano – dopo che sia la Camera che il Senato hanno effettivamente già votato sul punto – il problema dell’elezioni indiretta dei futuri senatori.

A palazzo Madama si dice che Renzi sia anche pronto a calare l’asso di un emendamento che taglia la testa al toro, elimina il dibattito alla radice, e abolisce completamente il Senato. Se non fosse per l’Italicum – che ci consegnerà una Camera con una buona dose di nominati e una maggioranza assegnata con un premio molto alto – sarebbe quasi da sperare lo facesse, abbandonando un disegno che è invece pasticciato da infinite mediazioni e compromessi. Corradino Mineo, al contrario – per ora un po’ isolato – pensa invece che questa potrebbe esser la mossa vincente se a farla fosse la minoranza: un modo per uscire dall’angolo. E presenterà con altri senatori – anticipa a Left – un emendamento con questa proposta. Renzi, in realtà, pare che, molto più banalmente, sia stato convinto a ricercare la prova di forza dall’esito positivo della caccia ai voti. C’è da sostituire una quindicina di senatori del Pd (tanti saranno, al massimo, scommette palazzo Chigi)? Si può fare. Un vertice con Flavio Tosi (tre solo i suoi voti al Senato), un punto con Denis Verdini, e la convinzione che alcuni ex 5 stelle e la coppia Bondi-Repetti non si faranno pregare, fa ben sperare Renzi. «Il governo bluffa sui numeri», dice il bersaniano Miguel Gotor. Ma a palazzo Chigi scommettono che sia la minoranza, a bluffare, e che nessuno abbia intenzione di arrivare a una crisi di governo.

«Il Paese non ha bisogno di una crisi di governo», dice – ad esempio – Gianni Cuperlo a Repubblica: «Ripartiamo dal merito», insiste, chiedendo una soluzione tecnica e una modifica concordata all’articolo 2, quello sulla modalità d’elezione dei senatori. E sullo stesso voto del calendario d’aula, la minoranza ha votato come indicato da palazzo Chigi.