Jan Assmann al Festivalfilosofia. L'egittologo tedesco spiega perché, dalla ferocia delle crociate cristiane, ai roghi delle streghe, fino al fondamentalismo dell'Isis oggi, la violenza è intrinseca al monoteismo.

L’assassinio praticato in nome della religione, la strage perpetrata in nome di Dio. È stato quasi una costante nella storia dei tre grandi monoteismi. Dalla ferocia delle crociate cristiane, ai roghi delle streghe, fino al fondamentalismo dell’Isis oggi. La violenza è intrinseca al monoteismo secondo l’egittologo tedesco Jan Assmann. Nasce dalla divisione manichea fra chi crede in Dio e chi no, per cui da una parte c’è la Verità dall’altra ci sono gli infedeli.

Il monoteismo impone un concetto di verità esclusiva, collegato ad una rivelazione. Diversamente dal politeismo che invece ammette un pantheon di divinità. Che nell’antica Roma era mobile, mutevole, aperto alle divinità degli altri, specie quelle dei popoli assoggettati per mantenere la cosiddetta pax.
Con le tre religioni monoteistiche, ebraica-cristiana- islamica insomma, si interrompe la tradizione di «reciproco riconoscimento e traducibilità» propria delle precedenti religioni politeistiche, dice il professore emerito dell’Università di Heidelberg e dell’Università di Costanza che su questo tema ha tenuto una lectio magistralis al Festivalfilosofia di Modena Carpi e Sassuolo, quest’anno dedicato al verbo “ereditare”.
«Nell’antichità egiziana, babilonese, indiana, greca e romana tutti gli dei rappresentavano un unico Dio e risultavano dunque reciprocamente compatibili e traducibili», sostiene Assmann. Ma con il passaggio al monoteismo si riducono i culti di tutte le altre religioni al rango di aberrazioni e di menzogne e si incita così alla persecuzione dei miscredenti. Questa è la tesi di Non avrai altro Dio (Il Mulino), uno degli ultimi libri di Assmann tradotto in italiano e noto soprattutto per un originale saggio uscito nel 1997, Mosè l’egizio (Adelphi, 2000) in cui avanzava l’ipotesi che il Mosè ebraico fosse esemplato su un precedente egizio: il faraone Akhenaton della XVIII dinastia che chiuse i templi e proibì culti diversi dall’unico da lui ammesso, il culto del sole.

Nel libro La distinzione mosaica ovvero il prezzo del monoteismo (Adelphi, 2011) Assmann afferma che «Il monoteismo biblico nacque in contrasto e in contrapposizione con il politeismo egiziano e mesopotamico. Anche se nel mondo egizio non mancò un certo concetto del Dio sovrano in forma di monoteismo inclusivo che vede Dio in tutti gli dei». Ma allo stesso tempo secondo l’eminente egittologo c’è uno stretto nesso fra la storia ebraica e l’Egitto. Nella Bibbia per esempio si racconta la diffusione del monoteismo fra i figli d’Israele come la storia del loro esodo dall’Egitto. «E ella memoria biblica è l’Egitto, non la Mesopotamia, a giocare il ruolo dell’altro che deve essere abbandonato per poter abbracciare la nuova religione», precisa il professore. E lo stesso Mosé potrebbe essere di derivazione egizia, da mes, mesu, che vuol dire “figlio” . Ma chi era realmente Mosè? «E’ un mistero – dice Assmann -. In ogni caso il Mosè storico, ammesso che sia esistito, ha poco a che fare con la tradizione di Mosè. Rappresenta colui al quale Dio detta i precetti, è il recettore del comando puro, Dio non può mai parlare a tutto il popolo e usa lui per consegnare al popolo la legge scritta». Una legge  scritta nel sangue, come racconta la Bibbia, costellata di scene di massacri, azioni punitive, persecuzioni, condanne di matrimoni misti e così via. «Fin dalla fuga dall’Egitto, indotta con la violenza delle piaghe inviate da Dio e ancor più la conquista della terra di Canaan ottenuta attraverso un conflitto sanguinoso, attraverso la condanna degli adoratori del vitello d’oro e le sue feroci conseguenze. Questi episodi non sono ritenuti storici dallo studioso tedesco ma come «fatti simbolici al pari di saghe e leggende con le quali una società si costruisce o ricostruisce un passato in grado di dare senso e prospettiva alle finalità e ai problemi attuali».

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