I poliziotti condannati per la morte del ragazzo, pur condannati, sono tutti in servizio. A Ferrara una due giorni a cui parteciperanno Patrizia Moretti, madre di Federico, Luigi Manconi e rappresentanti di associazioni e sindacati di polizia

È il 25 settembre. Ma di 10 anni fa. Federico incontra la pattuglia “Alfa 3”. A bordo Enzo Pontani e Luca Pollastri. Ha passato la serata con gli amici al Link, centro sociale di Bologna. Una serata normale per un giovane studente diciottenne di Ferrara appena tornato in città, a due passi da casa.

Da questo momento, tutto cambia. Tutto si inverte. Lui verrà definito “invasato violento in evidente stato di agitazione” che sferra “colpi di karate” a caso, “senza motivo apparente”, tanto che i due poliziotti chiamano a rinforzo la pattuglia “Alfa due”, con altri due “eroi”, gli agenti Paolo Forlani e Monica Segatto. E lo Stato, rappresentato dalla divisa dei 4 poliziotti, diventerà il criminale.

Eppure a morire, è lui, Federico Aldrovandi, sul quale vengono addirittura spezzati due manganelli (generalmente in legno o in alluminio). Il “violento” morirà per “asfissia da posizione”, con il torace schiacciato sull’asfalto dalle ginocchia dei poliziotti. E con le mani legate dietro alla schiena dalle manette. “Arresto cardio-respiratorio e trauma cranico facciale”.

Le 54 echimosi e lesioni renderanno l’ipotesi della morte per malore preannunciato dai poliziotti al 118 poco credibile. E apriranno la strada per l’ennesimo caso (per citarne alcuni fra tanti, si pensi all’uccisione di Stefano Cucchi o Riccardo Rasmann) di giustizia deviata e abuso di potere da parte di persone che non dovrebbero ricoprire non solo la divisa, ma nemmeno un posto una società che vuole chiamarsi civile.

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(Patrizia Moretti)

La famiglia viene avvisata solo 5 ore dopo la dichiarazione del decesso. La battaglia della mamma di Federico, Patrizia Moretti, inizierà ora per non fermarsi più.

Si apriranno due inchieste, che porteranno a due diversi processi. Il primo dei quali, per omicidio colposo, vedrà nel giugno del 2012 la condanna a 3 anni e 6 mesi di reclusione per i quattro uomini in quella divisa usurpata per “eccesso colposo in nell’uso legittimo delle armi“.

Nessuno dei quattro colpevoli della morte di Federico, Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri, sconterà la propria pena, grazie all’indulto varato nel 2006. E tre di loro torneranno in servizio in veste amministrativa a gennaio 2014.

Il secondo processo, Aldrovandi bis, per diversi reati tra cui falso, omissione e mancata trasmissione di atti, si chiuderà nel marzo del 2010 con la condanna di altri tre poliziotti per depistaggio. Paolo Marino, dirigente dell’Upg all’epoca, a un anno di reclusione per omissione di atti d’ufficio, per aver indotto in errore il PM di turno, non facendola intervenire sul posto. Marcello Bulgarelli, responsabile della centrale operativa, a dieci mesi per omissione e favoreggiamento. Marco Pirani, ispettore di polizia giudiziaria, a otto mesi per non aver trasmesso, se non dopo diversi mesi, il brogliaccio degli interventi di quella mattina.

A dieci anni dalla morte del figlio, e dopo molte umiliazioni subite da parte dei sindacati di polizia (il Sap applaudì ai poliziotti condannati, mentre il Coisp pensò bene di querelare la Moretti), nonché da un senatore della nostra Repubblica, Carlo Giovanardi («Aldrovandi è morto di infarto. E i poliziotti si sono comportati secondo manuale»), Patrizia parteciperà al dibattito con i rappresentanti delle forze dell’ordine, promosso dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato che avrà luogo durante la due giorni di Ferrara. Assieme a lei, Luigi Manconi, presidente della Commissione diritti umani del Senato, oltre a Lorena La Spina, segretario nazionale dell’Associazione funzionari di Polizia e Daniele Tissone, Segretario Generale del Silp, uno dei sindacati della polizia.

 

 

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.