Eva Giovannini, cronista, inviata di Ballarò, Raitre, con Europa anno zero, edito da Marsilio, ci racconta le destre europee.

Eva Giovannini con Europa anno zero, edito da Marsilio, ci racconta le destre europee, che sono ancora lì, non fatevi illusioni, sono lì anche se per qualche settimana avete visto anche il volto di un’Europa accogliente, quella di «welcome refugee». Cronista, inviata di Ballarò, Raitre, Giovannini ha conosciuto, ripreso da vicino, le destre che definisce «sovraniste, non certo fasciste, per quanto in alcuni casi l’album di famiglia nasconda frange più estreme e nascoste».

Il Front National di Marine Le Pen (sapevate delle inchieste sui finanziamenti del Front National e che il meccanismo prevede un partito fantasma dedicato a Giovanna d’Arco? Io no), l’Ungheria di Orbán. I polacchi, e poi gli inglesi di Farage raccontanti andando a vedere il collegio elettorale più significativo, una sorta di Riccione inglese caduta in disgrazia. I tedeschi, poi, quelli che non accolgono i migranti nelle stazioni, quelli di Pegida, che hanno riempito piazze al grido «Via l’Islam dall’Europa». Le destre di chi ha preso troppo sul serio, senza cogliere la provocazione, e si è impressionato leggendo il romanzo di Michel Houellebecq, Sottomissione.

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Left n. 37
Se questo è un uomo.
Bianca, cristiana e autoritaria. Ecco come il premier ungherese Viktor Orbàn vuole l’Europa.

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La prima cosa che chiedo a Giovannini, in effetti, è quale Europa le sembra più vera, meno frutto di un racconto mediatico. Io, a naso, direi quella che accoglie i migranti: «Credo che siano vere entrambe», mi dice lei, invece, «e che nessuno delle due sia frutto solo di uno storytelling. Credo però, e spero di sbagliarmi, che l’idea di Europa che veicolano le destre sia più dura a morire dell’altra, che gli applausi alle stazioni possano spegnersi presto». La sento al telefono, mentre sta preparando una puntata di Ballarò, e i greci hanno votato da poche ore. Non possiamo che cominciare da lì. «In Grecia Alba dorata è il terzo partito, stabile», le chiedo, «pensi che dovremo abituarci?». «Lo dicono i fatti, sono ormai tre elezioni che Alba dorata vince e non arretra», conta lei: «Per quello che ho avuto modo di vedere l’elettorato non è più solo quello dei nostalgici, che negli anni 80 assicurava risultati da prefissi telefonici. Ora è molto trasversale, fatto da gente comune che ho incontrato ai seggi, infermiere, professori, pensionati che ven- gono accompagnati a ritirare la pensione». Nel libro, Giovannini ci porta, come fosse in presa diretta, nelle stanze della sede di Alba dorata. Riporta poi un suo colloquio con il fondatore del movimento che ha quel simbolo così simile a una svastica, Ilias Panagiotaros. Una cosa mi colpisce: «Sfonderemo comunque, mi creda», le dice lui quando lei gli fa notare che l’intero vertice del partito è in galera, ai domiciliari o sotto inchiesta, «è solo questione di tempo». La domanda è spontanea: «Alexis Tsipras è l’argine alla destra o è millanteria di un nazionalista?». Risposta: «Tsipras in parte assorbe una rabbia che è senza colore politico, mobile, e la assorbe perché con tutte le contraddizioni note si è posto come colui che era contro la Troika. Ma la rabbia mobile, senza una forza politica percepita come di rottura, sarebbe approdata verso l’estrema destra, sì. Anche i partiti neonati come To Potami sono infatti percepiti come complici di Pasok e Nea Dimokratia». È convinta Giovannini, che di Alba dorata spiega molte cose, ripercorrendone la trentennale storia. Io non sapevo, ad esempio, che proponesse le mine antiuomo a difesa delle frontiere.

 

Nel libro c’è anche un’intervista fatta a Houellebecq, a poche settimane dalla strage di Charlie Hebdo. Da quel momento vive in cattività, sotto scorta. Giornalista e scrittore si incontrano in un luogo segreto, comunicato all’ultimo minuto. «A Houellebecq chiedi: “Come giudica l’avanzata dei neonazionalisti in Europa?”. Lui ti risponde: “È normale che crescano. La gente ha vissuto l’Europa come un’imposizione e non come una scelta. E ora si ribella”. È così: l’Europa è il principale carburante delle destre?». «Il libro», mi spiega, «lo abbiamo chiamato Europa anno zero, proprio perché è questo l’anno in cui tutti i nodi di un’Europa che ha pensato prevalentemente ai vicoli di bilancio, sono venuti al pettine». E nella contrad- dizione si alimentano Syriza e le altre sinistra, se va bene; i nazionalisti se va peggio.

Quello che scopri con Europa anno zero, è che c’è sempre qualcuno più a destra di te. Più a destra di Orbán, ad esempio, ci sono «i migliori» di Jobbik. I nazionalisti più nazionalisti del nazionalista, che – dice Giovannini – «per rispondere alla loro concorrenza da destra, ha deciso di costruire i 175 km di muro in filo spinato al confine con la Serbia». Il loro leader, Marton Gyongyosi, sempre nel libro, azzarda una previsione: «Da qui alle prossime elezioni europee l’Europa non esisterà più, sarà implosa». Trattati economici e incapacità di gestire i flussi migratori. Quale dei due argomenti è il più forte nelle paniere delle destre? «Li alternano con la stessa facilità, anche perché sono facce della stessa medaglia», mi dice ancora Giovannini: «Il migrante fa paura proprio perché si pensa possa intaccare quel poco che si ha. Se il welfare fosse abbondante ci sarebbe meno timore, meno spazio per il populismo di tipo patri- moniale, che soffia sulla paura di veder intaccato il proprio patrimonio che è religioso e valoriale – come sa bene Orbán – ma anche economico».

Nel libro si incontrano decine di tatuaggi, simboli che evocano la Germania nazista, teste rasate. L’ultima cosa che chiedo a Giovannini è quale incontro l’abbia turbata di più, spaventata. «Jobbik», mi racconta, «è stata la conoscenza più inquietante, anche esteticamente. Sono il secondo partito ungherese, sono xenofobi, antisemiti. Alle ultime elezioni suppletive hanno preso il 35 per cento, e hanno una vera e propria milizia. Lo slogan che ti accoglie nella loro sede è – non a caso – “dalle parole ai fatti”».

[social_link type=”” url=”https://twitter.com/lucasappino” target=”on” ][/social_link] @lucasappino

Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.