Detengono alcuni tra i marchi più affermati in diversi Paesi del mondo (Italia compresa), erano le imprese più grandi e hanno deciso di fondersi. Un mercato in crescita, specie in Asia. E fermo in Italia, nonostante il boom dei birrifici artigianali

I due più grandi gruppi mondiali produttori di birra si fondono: AB InBev e SABMiller rispettivamente un fatturato da 47 e 22 miliardi di dollari, danno vita al colosso assoluto della bevanda che si beveva già nell’antico Egitto e in Mesopotamia.  L’operazione porterà sotto lo stesso tetto alcune della marche più note e diffuse del pianeta: Bud, Bud Light, Corona, Michelob, Stella Artois, Becks, Hoegaarden, Leffe, Coors, Coors Light, Grolsch, Keystone, Milwaukee Best, Blue Moon , Foster, Pilsner Urquell, Peroni, Whurer, Dreher, Raffo, Miller Lite, High Life. Un elenco parziale.

La tendenza a crescere dei grandi gruppi produttori di birra è inesauribile. Altri colossi sono Heineken e Carlsberg (proprietaria di quello che era il suo grande competitor nazionale, Tuborg). Accanto ai colossi crescono ovunque nel mondo una miriade di micro-breweris, piccole distillerie che producono birra artigianale. Negli Stati Uniti diverse hanno una tradizione attenta all’ambiente e difendono con le unghie la loro indipendenza (anche con successo, che la birra artigianale va di moda). Quella che in molte classifiche viene considerata la miglior birra del mondo viene prodotta dalla Hill Farmestead Brewery in Vermont e si vende solo all’interno dello Stato. Il negozio dello stabilimento apre tutti i giorni e di solito a fine giornata ha esaurito le scorte. La voga dei piccoli marchi non è passata inosservata in casa dei giganti, che stanno comprando, quando le compagnie cedono, tutto quel che possono per dotarsi di brand fiore all’occhiello e/o rubare ricette di qualità e potenziale successo.

Essere colossi serve

Il consumo di birra globale ha raggiunto 188.81 milioni di tonnellate nel 2013, + 0,5% rispetto all’anno precedente, è il 28esimo anno consecutivo di crescita.
La Cina è il più grande consumatore di birra del pianeta per il 11 ° anno consecutivo, con un incremento annuo del 4,8% rispetto al 2012. Il Vietnam è entrato per la prima volta nella top ten. L’Asia – grazie alla popolazione tanto numero – consuma il 34,8% del mercato della birra ed è la regione che ne consuma di più dal 2007. Penetrare nei mercati emergenti (e potenzialmente colossali) è quindi una priorità e si fa non vendendo la propria vecchia birra ma comprando i marchi nazionali.

Se guardiamo al consumo pro-capite l’Asia, dove pure il consumo cresce in maniera costante, precipita in basso. In grande crescita anche il consumo della birra non alcolica nei Paesi islamici, specie quelli della penisola araba. Ma parliamo di briciole.

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L’Europa è il centro del mondo se parliamo di birra: qualità, varietà e consumo pro-capite.

Più di tutti bevono i cechi, circa 120 litri l’anno, seguiti da tedeschi, estoni, austriaci e irlandesi tutti intorno ai cento litri a testa. Quanto all’Italia, nel rapporto 2014 di Assobirra leggiamo

Nel 2014 i consumi della birra in Italia sono rimasti stazionari, avendo toccato 17.729.000 ettolitri (…) un andamento storico piatto, anzi lievemente riflessivo, che dura da almeno dieci anni: nel 2005 il consumo pro capite annuo era di 29,9 litri, saliti a 30,3 nel 2006 e a 31,1 nel 2007 (anno record); dopodiché è cominciato il ripiegamento. Guardando oltre i confini l’Italia, con i suoi 29,2 litri, rimane all’ultimo posto della classifica dei consumi in Europa, con un valore pari a meno della metà della media Ue.

Eppure anche nel nostro Paese è boom di micro e medi produttori artigianali, alcuni dei quali hanno trovato in pochi anni la strada dei supermercati grazie a un prodotto di qualità nettamente superiore alla media.

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