I cinque candidati alle primarie democratiche si affrontano nel primo dibattito. Per alcuni è una chance di entrare davvero a far parte della contesa. Mentre i due front-runner devono evitare di farsi troppo male

Ci siamo: finalmente anche i candidati democratici alle primarie salgono su un palco davanti a milioni di telespettatori per confrontarsi tra loro. Due, Hillary Clinton e Bernie Sanders, sono forti e conosciuti, gli altri – Martin O’Malley, Jim Webb, Lincoln Chafee – sperano che la platea di stanotte a Las Vegas consenta loro di salire nei sondaggi, essere scoperti dal pubblico, attirare un po’ di attenzione. Poi c’è Joe Biden, il vicepresidente che guarderà la televisione chiedendosi se sia o meno il caso di candidarsi alla presidenza. Certo è che il primo dibattito potrebbe finalmente cambiare l’inerzia di una corsa che è ferma al successo inatteso di Sanders e alla forza strutturale di Clinton. Riuscirà Hillary a piacere un po’ di più agli americani? A rendersi umana? E Sanders a essere credibile, preparato e non solo bravo a parlare alla enorme base liberal che affolla i suoi comizi e riempie le casse della sua campagna?

Attenzione ai sondaggi: a fine settembre 2007 Clinton aveva il 53%, Obama il 20% ed Edwards il 13%. Qualche mese dopo le percentuali erano piuttosto diverse.

Al momento comunque le rilevazioni dicono che l’ex first lady è saldamente in vantaggio, con Sanders che segue, forte, ma molto staccato. Certo, le rilevazioni sulle intenzioni di voto in Iowa e New Hampshire, i primi Stati in cui si vota, non lasciano dormire sonni tranquilli al circolo dei Clinton. I dati sulla raccolta di fondi nell’ultimo trimestre, resi noti dalle campagne la scorsa settimana, sono poi un altro campanello d’allarme: con un’organizzazione che è un atomo di quella di Hillary, il senatore del Vermont ha raccolto solo due milioni in meno. Ma da un numero di donatori molto maggiore, più alto di quanto non capitò a Obama nel 2008 (a questo punto della corsa), quando la campagna veniva studiata per essere un fenomeno straordinario. Segno che il vecchio Bernie ha dalla sua un vero movimento. Un fattore importante. Da annotare: quante volte gli chiederanno se è un socialista?

 

 

 

Tre cose da verificare

Hillary e Bernie hanno promesso di non attaccarsi a vicenda. Reggerà la promessa?
Riusciranno a non darsi colpi bassi? Probabilmente si: alla ex senatrice di New York non conviene essere cattiva con l’unico socialista democratico eletto in Congresso: potrebbe trovarsi a essere incalzata su tutte le posizioni di sinistra che ha preso durante questa campagna e che sono in parziale contraddizione con la sua carriera politica. Meglio doverlo fare rispondendo alle domande dei giornalisti. Clinton è molto forte nei dibattiti e conosce i temi di cui parla meglio degli altri candidati, mantenere un profilo presidenziale usando argomenti di sinistra è forse l’arma migliore per mantenere Sanders a distanza. Per Sanders, invece, il tema è proprio quello di essere credibile come figura eleggibile alla Casa Bianca: azzannare Hillary ai polpacci potrebbe essere controproducente. Pur essendo molto di sinistra, il senatore ha argomenti ce possono piacere a molti e mantenere un fare sorridente e nonnesco potrebbe funzionare. La sua sfida è nell’organizzazione a livello locale. Stanotte gli serve solo di non scivolare. Specie su temi come le minoranze e il gun control (la regolamentazione delle armi), temi sui quali ha un handicap a sinistra rispetto a Clinton. Intanto Hillary ieri si è presentata a sorpresa a un picchetto di lavoratori di un albergo di Donald Trump a Las Vegas: come dire, sono già candidata e mi batto contro l’avversario, sto con i lavoratori organizzati sindacalmente, mal pagati e latinos.

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Quante critiche alla presidenza Obama?

In questi giorni questo è l’argomento scivoloso per Hillary: le sue posizioni in politica estera sono a destra di quelle di Obama – o meglio, meno timide ed elaborate – specie sulla Siria. Su altri temi come il TTIP, l’accordo commerciale del Pacifico, o l’immigrazione invece, Clinton è a sinistra del presidente. Ogni volta che la candidata prende una posizione diversa da quella della Casa Bianca la sua campagna informa lo staff del presidente, ma durante un dibattito e incalzata da avversari e giornalisti, il rischio è quello di allontanarsi troppo o far indispettire Obama. I due sono stati alleati per un periodo ma non si amano particolarmente, se Hillary sarà troppo critica, potrebbero esserci problemi. Questo ci porta a….

Quanto sarà grande l’ombra di Joe Biden?

 

 

Il presidente Obama lo ha definito “forse il vice più importante della storia americana”. Il vicepresidente ha detto di aver preso in considerazione la possibilità di correre. La morte del figlio Beau gli ha invece messo dei dubbi: «Per correre e fare il presidente devi essere al 100%, io non so se sarò al 100%» ha più o meno detto in un’intervista molto forte dal punto di vista emotivo a Stephen Colbert. Lo spettro di Biden si aggirerà nella sala del dibattito Tv: oggi ha il 20% nei sondaggi senza aver annunciato una candidatura. Non è affatto detto che la sua sarebbe una campagna vincente, ma certo, sarebbe un concorrente molto forte: è popolare, è spiritoso, ha una storia commovente da raccontare (e lo fa in maniera sincera). Quel che non è chiaro è come venderebbe se stesso. Certo sarebbe il più centrista dei candidati democratici, capace di rosicchiare consensi bianchi ai repubblicani. I conduttori faranno domande sul Veep, c’è da scommetterci. C’è anche da notare che Biden non ha impegni per la serata americana (stanotte) e che la CNN che trasmette il dibattito ha pronto un sesto podio, dovesse decidere di partecipare a sorpresa. Sarebbe un colpo per tutti. Improbabile e rischioso. Se Clinton vincesse bene il dibattito, Biden avrebbe più dubbi, se invece andasse male, le sue azioni salirebbero di molto.

Di Clinton e Sanders sappiamo quasi tutto. Ma chi sono gli altri tre sul palco?

Martin O’Malley, ex sindaco di Baltimora, ex governatore del Maryland
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Se non ci fosse Hillary (e nemmeno Sanders), questo sorridente 50enne con l’aria tutta salute e fitness sarebbe il campione della sinistra liberal. Ha fatto il sindaco di una città difficile e molto afroamericana – dove dice di aver fatto crollare il crimine, tesi discussa e non provata – e ha acquistato risonanza nazionale attaccando Bush sui tagli al bilancio. Da governatore si è battuto con passione per l’istituzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso nel suo Stato, ha posizione aperte sull’immigrazione è per un aumento del controllo sulla vendita di armi ed è contrario alla pena di morte. Di sinistra sui temi sociali, si colloca senz’altro alla destra di Sanders in economia. Ha da vendere un’immagine più giovane degli altri. Viene da uno Stato piccolo e democratico e in questo senso non porterebbe vantaggi elettorali – e dove tra l’altro è terzo nei sodnaggi. Da lui e da Webb c’è da aspettarsi attacchi a Clinton sulle mail, su Bengazi, sulle posizioni di sinistra assunte di recente. Senza una performance che faccia parlare di sé, O’Malley è fuori. Avrà più tempo per suonare con la sua band di musica celtica.

Jim Webb, ex senatore della Virginia

 

 

 

Quasi assente dai sondaggi, Webb potrebbe essere la sorpresa della serata. Non ha comprato spot Tv, non è ossessionato dall’esserci ed è un personaggio di quelli che piacciono al pubblico con cui i democratici hanno un rapporto difficile (i bianchi non giovani). Ex militare, ha servito nell’amministrazione Reagan come assistente Segretario alla Difesa, pluri-decorato del Vietnam, è stato ferocemente contro la guerra in Iraq, dove suo figlio ha combattuto. Ha scritto diversi romanzi di successo con la guerra come sfondo. Ha posizioni non convenzionali, è piuttosto conservatore, passionale, duro, ma parla ai blue collars (le tute blu) promettendo infrastrutture e lavoro. Può piacere da morire a un elettorato indipendente e strappare molti voti ai repubblicani in alcuni Stati chiave. Sulla politica estera di guerra è più preparato degli altri e non è un guerrafondaio. E poi ha vinto un seggio nella cruciale e difficile Virginia. Un personaggio, vicepresidente perfetto da un punto di vista elettorale. Non piacerà mai alla base di sinistra del partito (che è in crescita). Anche a lui serve una performance superlativa.

Lincoln Chafee, ex senatore repubblicano del Rhode Island, ex governatore indipendente del Rhode Island

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Quella di Chafee sembra davvero la candidatura di un politico che corre per dire “io c’ero”. La sua forza quella di essere stato repubblicano pur avendo mantenuto saldi i propri principi: nel 2003 ha votato contro l’Iraq, unico repubblicano del Senato, è contrario alla pena di morte e contro i tagli alle tasse di Bush. Non ha particolare carisma, viene da uno Stato minuscolo. Difficile immaginare come possa fare per uscire dal cono d’ombra dei candidati più forti.