Il disegno di legge sulle norme in materia di intercettazioni telefoniche, a favore del quale il Pd ha votato compatto, può essere letto come una gemmazione della tentazione recidiva di chi gestisce il potere di celare quel che fa e sa, ostacolando il lavoro di chi acquisisce informazioni per farle conoscere ai cittadini.

Il disegno di legge sulle norme in materia di intercettazioni telefoniche, a favore del quale il Pd ha votato compatto, può essere letto come una gemmazione della tentazione recidiva di chi gestisce il potere di celare quel che fa e sa, ostacolando il lavoro di chi acquisisce informazioni per farle conoscere ai cittadini. Il ddl recepisce un emendamento passato in Commissione giustizia, relatrice Donatella Ferranti (Pd), che espone questo provvedimento a una giustificata contestazione e a una motivata petizione. Il testo approvato elimina la possibilità di un’udienza filtro nel corso della quale le parti (il giudice e gli avvocati) avrebbero dovuto decidere le intercettazioni rilevanti da portare al processo, prima di poterle depositare e quindi renderle un documento pubblico e, soprattutto, pubblicabile.
La modifica del ddl con questo emendamento, sul quale il Pd – ripeto – ha fatto quadrato, limita il diritto all’informazione ed è in questo senso figlio minore della legge bavaglio che il governo Berlusconi ha invano cercato di far passare. Berlusconi fallì grazie a una mobilitazione straordinaria di cittadini, di rappresentanti degli organi di informazione e dell’editoria. Allora si fecero barricate; ora si tratta di vedere se l’appello lanciato da Stefano Rodotà riuscirà ad attirare la stessa attenzione.
Figlio minore della legge bavaglio, perché in questo caso non vengono ostacolati, come nell’altro, gli organi giudiziari nel reperimento per mezzo di intercettazione delle informazioni come strumento d’indagine; ma perché, anche in questo caso, viene impedito di dar notizia delle inchieste giudiziarie sino all’udienza preliminare (che in Italia può richiedere anni). Questo provvedimento fa proprio uno dei due aspetti della proposta di legge bavaglio: mette in discussione il principio del rendere pubblico, del far conoscere ai cittadini il contenuto delle intercettazioni. Interviene, limitandolo, sul diritto all’informazione.
L’argomento usato dal Pd per giustificare questo provvedimento è che la possibilità di pubblicazione potrebbe essere lesiva dei diritti di coloro che sono, in qualche modo, coinvolti nelle indagini benché il prosieguo delle stesse ne dimostri poi l’estraneità al reato. Ma si tratta di un argomento ingannevole perché l’udienza filtro serviva proprio a ovviare a questo problema, che è serio. Come lo è il mettere a repentaglio la dignità della persona con il rischio palese di consegnare il suo nome alla gogna mediatica. L’udienza filtro doveva servire a evitare questo, a «selezione del materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine». Perché toglierla? Viene da sospettare che la si sia tolta per poter meglio giustificare questo giro di vite sull’informazione.
Il Pd si trincera dietro il nobile principio della privacy. Sostiene che mentre le intercettazioni non si devono impedire, si devono tuttavia conciliare due diritti: quello all’informazione e quello alla privacy. Il fatto è che il testo approvato alla Camera più che conciliare questi due diritti è tutto sbilanciato a favore del secondo e contro il primo. Il governo prevede una pena punibile con la reclusione fino a quattro anni, «la diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente».
Questo provvedimento è lesivo dei diritti civili e politici. È in nostro nome che dobbiamo chiedere che venga modificato. In nostro nome perché, per esempio, la conoscenza preliminare di un candidato incluso nelle liste è un diritto politico – il diritto civile all’informazione dà agli elettori dati di conoscenza che consentono loro di fare una scelta politica libera, non condizionata da quel che viene loro celato. La dignità della persona nel nome della quale questo provvedimento è stato giustificato, deve essere rispettata anche in relazione al cittadino: la sua dignità di essere trattato come un attore autonomo al quale non si nascondono informazioni che possono essere essenziali nella formulazione delle sue scelte.