Senatori e deputati sperano di strappare modifiche in aula. Ma

Andrea Orlando e Dario Franceschini hanno detto no in consiglio dei ministri alla scelta di togliere ogni tassa sulla prima casa, a tutti, indiscriminatamente, ricchi e poveri, case di lusso o no. La scelta è però rimasta nella manovra, ed è stata fortemente rivendicata da Matteo Renzi in conferenza stampa.

E se molti renziani quando al governo c’era Enrico Letta si dicevano contrari a una scelta del genere («È una mossa da Robin Hood al contrario», diceva nel 2013 l’economista Yoram Gutgeld, oggi consigliere economico di Renzi: «È un cedimento alla destra populista»), chi dice di non voler cambiare idea è la minoranza del Pd, imbarazzata dal fatto che a destra siano tutti così contenti, orgogliosi di poter rivendicare una primogenitura del provvedimento. Silvio Berlusconi ha in effetti tute le ragioni, in questo caso, per fare il simpatico: «Mi sembra», dice, «di essere tornato ai tempi della scuola, dove i miei compagni mi copiavano sempre: Renzi ha copiato l’innalzamento del limite del contante, il ponte sullo Stretto, e l’abolizione dell’imposta sulla casa».

La lettura di Bersani&co è invece opposta, chiara ed è quella spiegata anche a Left dall’ex ministro Vincenzo Visco («Lo potrebbe fare un partito di destra», ci disse, appunto). E se Visco però può star tranquillo, non essendo parlamentare, per gli altri l’interrogativo sarà sempre il solito. A un certo punto bisogna votare, sì o no. L’esame della finanziaria comincia dal Senato. Che si fa?

Per adesso, ovviamente, l’idea è che si possano strappare modifiche: «La manovra non è un testo sacro», dice un deputato a Left. Una mediazione potrebbe essere prevedere una soglia di esenzione, più che un’esenzione indifferenziata. Tipo: da 400 euro in giù non si paga, gli altri continuano. Costerebbe anche meno, ovviamente, che in una finanziaria un po’ debole sulle coperture (prevalentemente in deficit), come argomento non è male.

A palazzo Chigi per ora però sembrano voler tenere il punto. E Renzi non teme ovviamente anche il passaggio in una direzione Pd – richiesta dalla minoranza. Sulle tasse sulla prima casa, come sul limite per i pagamenti in contanti. L’Unità è già partita nella difesa della scelta, ponendo l’accento su chi il limite proprio non ce l’ha.

Berlusconi di suo rilancia. Siccome l’idea è sempre sua, dice che si potrebbe però fare meglio: «Portiamolo a 8mila euro». Bersani, invece, per ora conferma la sua posizione: «In Italia abbiamo il record di evasione, corruzione e nero. È strano pensare a incoraggiare l’uso del contante». Corradino Mineo ritwitta Stefano Fassina (che ha parlato anche con Left).

Ma Mineo è uno dei quattro senatori che già non hanno votato la riforma del Senato. E gli altri? Nessuno anticipa risultati. Per il momento si pensa a un pacchetto di richieste di modifiche, che toccano altri aspetti, come il taglio dell’Ires, che è rimandato alla bontà di Bruxelles, ma sarebbe comunque non progressivo, a vantaggio quindi delle grandi imprese. La speranza è che si riesca a strappare fosse anche solo una riformulazione come nel caso della riforma del Senato.

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