Le scommesse degli italiani sono una manna per le casse dello Stato. Ma il boom del gioco produce un aumento delle dipendenze e, almeno, si potrebbe smettere di promuoverlo. La proposta di legge dei CInque stelle

Nel territorio italiano, il gioco d’azzardo è vietato. Salvo deroghe. Negli anni, l’eccezione è diventata la regola, alimentando non solo la dipendenza che è legata alla scommessa, ma anche il business, sempre più chiaro e sempre meno pulito, che vi è alla base. Le videolottery, le slot machine, i punti scommessa, si sono diffusi in maniera impressionante e capillare, fino ad abbattere la percezione del rischio e tanto da portare spesso amministratori locali a chiederne quantomeno la distanza a 500 metri dalle scuole.

Stando ai dati Nomisma del 2015, il 51 per cento dei minorenni ha giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno. Di questi, il 6 per cento gioca quotidianamente e il 32 per cento nasconde ai genitori o minimizza le somme effettivamente spese. A oggi, sono circa 15 milioni i giocatori abituali, 800mila quelli affetti da dipendenza patologica. L’ “azzardopatia” è una malattia fortemente debilitante e, non a caso, nel novembre del 2012 è stata inserita per legge nei Lea, Livelli essenziali di assistenza, con un costo per il servizio sanitario nazionale annuale che ammonta a quasi 6 miliardi di euro.

Ogni anno, lo Stato incassa solo dalle concessioni e relativi canoni mensili e tassazione (che ricordiamo aumenta in base all’incasso dovuto alle giocate), oltre 10 miliardi annui. Concessioni che il governo Letta rinnovò e ampliò. Nella legge di stabilità di quest’anno, alle 15mila esistenti si andrebbero ad aggiungere 7mila nuovi corner – dato immediatamente corretto dal premier sebbene il documento della Finanziaria tardi a essere reso noto. Sempre a bilancio, è previsto un apposito bando di 500 milioni dedicato proprio all’acquisizione o al rinnovo di queste licenze – che in ogni caso non dovranno superare il tetto delle 22mila concessioni (motivo per cui il governo sostiene di non aver aumentato il numero di concessioni).

L’esecutivo conta di incassare per la copertura dell’anno prossimo, un miliardo di euro dalle imposte e dalle nuove gare previste (500milioni ciascuno). È dunque difficile pensare che abbia intenzione di sbarazzarsene o limitarne il mercato.
Si riapre inoltre la procedura di condono delle agenzie senza concessione: su 7000 solo 1200 hanno avviato la procedura l’anno scorso. Le altre hanno continuato ad agire senza licenza – con relativo buco nel bilancio previsto dalla finanziaria dell’anno scorso di 180milioni. E anziché fargli chiudere i battenti, il governo gli offre la possibilità di sanare la propria illegalità.

Ma c’è un altro mercato, connesso al gioco d’azzardo, che ogni anno produce un guadagno all’editoria e in generale ai media (tra questi anche le reti del servizio pubblico) di circa 200milioni di proventi: quello della pubblicità. I concessionari infatti sono obbligati a investire parte dei loro introiti in pubblicità, in base alla convinzione che il gioco legale – ricordate lo spot “gioca responsabilmente”, o “gioca senza esagerare”? – possa estirpare quello illegale.

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Non la pensano così i parlamentari del Movimento 5 stelle, per i quali la pubblicità ha «assunto un ruolo determinante e pesantissimo. Non solo per il reclutamento di nuovi giocatori. Essa promuove una visione distorta dell’individuo e dei rapporti sociali».

Così, accogliendo la richiesta che arriva a gran voce e da tempo da comitati e associazioni no-slot (NoSlot, SlotMob, SenzaSlot) e Libera, hanno elaborato un disegno di legge per l’abolizione, totale e senza eccezioni (come sponsor o versamenti alle fondazioni), della pubblicità del gioco d’azzardo (ddl 2024, Introduzione del divieto di pubblicità per i giochi con vincite in denaro). I Cinquestelle, con il senatore Giovanni Endrizzi in testa, hanno ottenuto la dichiarazione d’urgenza, e la discussione sul ddl è finalmente partita nelle Commissioni Sanità e Finanza al Senato.

Il testo è molto semplice, con un unico articolo diviso in tre commi, ma basta e avanza per mettere in chiaro la politica di contrasto incondizionato del marketing dell’azzardo:

  1. È vietata qualsiasi forma, diretta o indiretta, di propaganda pubblicitaria, di ogni comunicazione commerciale, di sponsorizzazione o di promozione di marchi o prodotti di giochi con vincite in denaro, offerti in reti di raccolta, sia fisiche sia on line.

 

Prevede poi una sanzione amministrativa per qualsivoglia violazione, da 50.000 a 500.000 e che i proventi derivanti dall’applicazione delle sanzioni saranno destinati «alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione delle patologie connesse alla dipendenza da gioco d’azzardo».

I pentastellati segnalano tra l’altro un dato significativo: il 56 per cento dei giocatori patologici è disoccupato. Il che può sembrare scontato, ma allo stesso tempo deve far riflettere sul ruolo distorto che ha assunto lo Stato in questa partita. Lo Stato, dovrebbe porsi come tutore di fasce a rischio vieppiù in un momento in cui la crisi rischia di far sprofondare interi strati in dipendenze equivalenti a quelle che furono le droghe negli anni 80.

«È lo stesso Stato a consentire una pratica che pone maggiori ostacoli alle fasce deboli e che impatta con conseguenze disastrose su un numero enorme di persone – scrivono – anche le stime più ottimistiche parlano di un numero di giocatori patologici tra gli 800.000 e i 900.000, pressoché il doppio dei tossicodipendenti calcolati in Italia, pur avendo situazioni cliniche e conseguenze sulla salute personale e familiare del tutto paragonabili. Si ravvisa quindi – concludono – anche un contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, in base al quale proprio lo Stato dovrebbe tutelare la salute dei cittadini, non metterla in pericolo».

Tra gli altri ddl, quella del Pd, che è simile (presentata un giorno dopo rispetto a quella 5 Stelle), salvo abbassare le sanzioni (con la minima che parte da 20.000 euro a un massimo di 200.000 euro) e destinarle al bilancio dello Stato che a sua volta le reindirizzerà a interventi di generica «educazione sanitaria», e salvo essere del Pd, ovvero del partito di governo, che come abbiamo visto non ha nessuna intenzione di rinunciare agli introiti di questo mercato in espansione.