I lavori sarebbero dovuti partire il 2 novembre, ma la Regione interviene con due note che li dovrebbero bloccare: senza il progetto definitivo non è possibile dare l'autorizzazione definitiva

Non potranno partire, come previsto, il 2 novembre i lavori preparatori per il gasdotto che entrerà dall’Adriatico fin sulla spiaggia di San Foca, nel comune leccese di Melendugno. Lo ha stabilito la Regione Puglia con due note del dirigente del Servizio Ecologia, mettendo di fatto i bastoni fra le ruote alla Tap, la Trans Adriatic Pipeline già autorizzata e “benedetta” dagli ultimi governi.

Reagendo a una sollecitazione proprio del ministero dell’Ambiente, la Regione ha spiegato di non poter condurre a termine le verifiche sulle prescrizioni ambientali contenute nell’autorizzazione a Tap, perché non è ancora disponibile il progetto esecutivo validato previsto dall’autorizzazione unica. Spacchettando di fatto il progetto, la Tap non avrebbe effettuato alcune opere previste come antecedenti alla data di inizio lavori, fissata al 16 maggio 2016 dall’Autorizzazione unica rilasciata dal ministero dello Sviluppo Economico.

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Dal canto suo, la società ritiene di poter procedere per lotti e quindi di dover mettere in pratica le prescrizioni “preliminari” di volta in volta e non tutte insieme prima di dar via al cantiere. L’obiettivo è quello di accelerare i tempi per concludere i lavori in tre anni e avviare l’erogazione del gas nel 2020. «Una superficialità sconcertante» esordisce Gianluca Maggiore del Comitato No Tap, «Lo stop della Regione è partito su iniziativa del comitato no Tap e del Comune di Melendugno, ma le contestazioni arrivano anche da soggetti come L’Arpa e da autorità “nazionali” come l’Ispra e lo stesso ministero dei Beni culturali, escluso di fatto dalla procedura autorizzativa. Non è soltanto una questione di competenze, ma anche di responsabilità. Chi doveva dire la sua in base alle procedure, fa presente che non ha avuto la possibilità di farlo».

La diffida riguarda anche l’occupazione delle aree di Melendugno incluse nel catasto degli incendi: in base alla legislazione vigente (finalizzata a evitare che si incendino aree agricole con l’obiettivo di cementificare), la destinazione d’uso delle aree interessate dal cantiere non potrebbe cambiare prima di 15 anni e per la realizzazione di insediamenti civili e produttivi bisogna attendere 10 anni, vale a dire il 2021.

«In sede di conferenza dei servizi, il sindaco di Melendugno Marco Potì (qui una sua recente intervista a Left, ndr)  fece mettere agli atti la sovrapposizione tra aree incendiate sottoposte a vincolo e i cantieri della Tap – spiega l’esponente del Comitato No Tap -, spiegando che ciò gli impediva di concedere il permesso a costruire. In questa fase il comitato e il Comune hanno semplicemente comunicato con posta certificata alla presidenza della Regione questa notizia». Una comunicazione che ha di fatto costretto la Regione, proprietaria di una particella di terreno incendiato e vincolato (quindi perseguibile penalmente in caso di edificazione prima dei termini), a diffidare la società dall’effettuare qualsiasi lavoro.

«Quella particella, la 148 del foglio 9, è vincolata fino al 2021, ma il Comune ora ha inviato al ministero dello Sviluppo economico, che ha concesso l’autorizzazione unica, la lista di tutte le particelle vincolate invitandolo ad annullare l’autorizzazione in autotutela». Un risultato che rimescolerebbe le carte della Tap e a sentire Maggiore assolutamente a portata di mano, «perché è già accaduto in passato in Puglia che si ritirasse un’autorizzazione in autotutela, con il rigassificatore di Brindisi. Altrimenti saremmo davanti a un caso di accanimento terapeutico». La patata bollente, ora, è nelle mani del ministro Guidi.