Le Regioni contestano i tagli alla Sanità per bocca di Chiamparino. Il premier risponde stizzito: «Che taglino e razionalizzino». Ma per la Sanità spendiamo meno degli altri Paesi europei e i tagli stanno determinando disparità tra più e meno abbienti e un peggioramento delle condizioni di salute

La polemica sui tagli alla Sanità e ai fondi destinati alle Regioni impazza. Oggi il presidente del Consiglio ha risposto stizzito all’allarme lanciato dal presidente della regione Piemonte e suo compagno di partito Sergio Chiamparino che ieri aveva spiegato che senza un miliardo in più i servizi sanitari garantiti dal Ssn sono a rischio: «Questa è la cifra che fin dall’inizio abbiamo indicato al governo e su questo non possiamo cambiare idea». Senza quelli si rischia di non poter acquistare i farmaci salvavita necessari e «di dover dire no» a qualche malato. Oppure c’è la possibilità che alcune Regioni decidano di aumentare i ticket o le imposte locali, rovinando così l’effetto «vi ho abbassato le tasse» che il governo cerca con la manovra in discussione. Il tema è cruciale e riguarda due questioni ricorrenti quando ogni anno, in questo periodo, si discute di manovra economica: quanti tagli agli enti locali e con che conseguenze sui servizi che da questi vengono gestiti e quale possibilità per questi di reperire risorse in autonomia.

Questi i conti presentati alla Camera dalla conferenza delle Regioni:

Nel triennio 2016-2018 i tagli ai ministeri registrerebbero una flessione del 45 per cento, mentre quelli imposti alle Regioni aumenterebbero dell’80%. Il complesso delle manovre e degli interventi proposti dai diversi governi dal 2012 al 2016 (comprendendo anche il ddl di stabilità 2016) si avvicina a i 10 miliardi. Per la sanità il patto per la salute 2014-16 prevedeva per il 2016 oltre 115 miliardi, a seguito delle ultime leggi di stabilità l’entità prevista per il fondo è scesa a 111 miliardi stabilendo un incremento rispetto al 2015 di 1 solo miliardo.
Le cifre aggiornate della Corte dei conti parlano invece di un aumento in termini reali di soli 500 milioni. Ancora peggio di quanto valutano le Regioni, insomma. A fronte di spese previste destinate ad aumentare (rinnovi contrattuali, livelli essenziali di assistenza, nuovo piano vaccini, emotrasfusioni, ecc.)

La reazione del governo passa per una convocazione delle Regioni e per parole che tutti i media riportano uguali e che il presidente del Consiglio non ha pronunciato in pubblico: «Adesso con le Regioni ci divertiamo, ma sul serio», sono le parole che il premier avrebbe pronunciato dopo aver letto delle critiche «Sulla Sanità ci sono più soldi del passato», meno di quelli richiesti dalle Regioni «ma più di quelli che avevano a disposizione. Il punto è che le tasse devono scendere. Non consentirò loro di aumentare le imposte ai cittadini, non si può scaricare sempre sugli italiani. Eliminino piuttosto gli sprechi».  A Renzi risponde di nuovo Chiamparino («Divertimento? Io vado a lavorare – ha detto – O le cifre che noi portiamo vengono dimostrate fasulle  oppure una risposta ci deve essere data») e indirettamente via Twitter i presidenti di Lombardia e Toscana, il leghista Maroni che spiega che da lui si spende solo il 5% in Sanità e il piddino Enrico Rossi che con i tweet che vedete qui sotto chiede più fondi, rivendicando spese sanitarie stabili e la necessità di investimenti. Contro i tagli sciopereranno i medici il 16 dicembre, perché, come spiegano «A governo e Regioni chiediamo consapevolezza delle pesanti e negative ripercussioni sulle liste di attesa, sulla integrazione ospedale territorio, sulle condizioni di lavoro, sulla qualità e sicurezza delle cure, sulla sperequazione esistente nella esigibilità del diritto alla salute e nei livelli di tassazione, che derivano da un progressivo impoverimento del servizio pubblico».

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Il tema generale è quello della garanzia del diritto alla salute allo stesso modo per tutti i cittadini italiani e alla tenuta di un Servizio sanitario nazionale per il quale l’Italia non spende troppo se paragonata ad altri Paesi avanzati. Nei giorni scorsi è stato pubblicato l’undicesimo rapporto del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in Sanità) e ci sono poche cose semplici da riprendere per rendere meno ragionieristica la disputa tra Stato e regioni.

La spesa sanitaria italiana è molto più bassa che negli altri Paesi europei: è inferiore a quella dei Paesi EU14 del -28,7%, e la forbice (anche in percentuale del Pil) si allarga anno dopo anno. Non è vero, insomma che spendiamo troppo, è vero, talvolta, che spendiamo male e che alcune Regioni (il Lazio delle cliniche e degli interessi stravince) spendono peggio e più di altre. Non solo, gli economisti del Crea ci ricordano che il disavanzo sanitario (la differenza tra quanto si spende e quanto entra) si è ridotto in 4 anni del 43,7%.

Schermata 2015-11-03 alle 14.51.52Le conseguenze dei tagli alla spesa si vedono:  siamo un popolo che gode di buona salute anche grazie a un sistema sanitario storicamente equo e tutto sommato efficace, eppure, si legge nel rapporto: «La quota di popolazione che dichiara di avere patologie di lunga durata o problemi di salute è in Italia inferiore a quella degli altri Paesi europei (…) Ma stiamo velocemente perdendo il nostro vantaggio in termini di salute; e il processo di convergenza sui livelli (peggiori) degli altri Paesi sembra avere accelerato negli ultimi 10 anni, quelli del risanamento finanziario. In particolare sembra più colpita la classe media, che evidentemente risente maggiormente della crisi e degli aumenti delle compartecipazioni.

Schermata 2015-11-03 alle 14.55.35I tagli hanno anche un effetto indiretto e redistributivo verso l’alto: da un lato è naturale che chi ha soldi sia in grado di pagare le prestazioni di cui ha bisogno rivolgendosi al privato o pagando in intra moenia.  Gli economisti di Crea scrivono:  1,6 milioni di persone in meno hanno sostenuto spese socio-sanitarie out of pocket (di tasca loro), più di 2,7 milioni dichiarano di rinunciare a priori a sostenerle per motivi economici (2012). E per il 2014 si registra deciso aumento della spesa sanitaria out of pocket (+14,5%), che potrebbe peggiorare ancora l’impatto equitativo.

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