L'Italia vista dai grandi maestri della fotografia nel corso di ottant'anni. Da Henri Cartier-Bresson a Robert Capa e Paul Strand. Dall'Italia minore raccontata da Cuchi White, quando era ancora studentessa di fotografia, alle visioni provocatorie di William Klein del 1956, fino a Sebastião Salgado che racconta gli ultimi pescatori di tonni in Sicilia, come un'epica, per arrivare poi agli scatti à la page di da Newton e alle visioni di McCurry. In Palazzo della Ragione a Milano prende vita un lungo e intenso viaggio fotografico, in sette tappe,  lungo la penisola  attraverso trentacinque autori, grazie alla mostra  Italia inside-out. «Il viaggio inizia con un autoritratto di Henri Cartier-Bresson del 1933», racconta la curatrice della mostra Giovanna Calvenzi. Una data che nella memoria collettiva segna il momento più drammatico della storia d'Europa. Quell'anno Heidegger pronunciava il suo discorso di adesione al nazismo. Ma Cartier-Bresson, preferendogli il filosofo Henri Bergson non è fra i tanti intellettuali che si lasciarono incantare dall'autore di Essere e tempo. Osa guardare oltre, rilanciando «il  sogno umanista», con i suoi eleganti scatti in bianco e nero, che riescono a scovare angoli di poesia, di resistenza, di riscatto anche in quegli anni che precipitavano verso la guerra mondiale. «La sua poetica dell'istante decisivo, il suo sogno di fermare il tempo, di cogliere l'attimo nel flusso in divenire della realtà influenzerà a lungo la fotografia di diversi Paesi e sarà adottato da generazioni di fotografia» dice  Calvenzi presentando venti immagini  del grande maestro francese, fra le quali la celebre foto fiorentina che mostra una schiera di tavolini vuoti in uno scenario autunnale, carico di malinconia, ma anche la foto "rubata" nelle strade di Livorno che ci mostra un uomo che legge  un giornale, all'interno di una casa, nell'attimo in cui la brezza solleva la tenda, coprendogli il volto. Evocando l'immagine di un'Italia non arresa, che si informa, che dopo la guerra cerca il modo per ripartire. «Il primo di questi grandi fotografi a raccontare l'Italia fu proprio Henri Cartier-Bresson.  E a lui - sottolinea Calvenzi - è affidato il cuore della mostra e il compito di introdurre il primo itinerario fotografico attraverso scatti dagli anni Trenta in poi. Assieme a quelle di altri 35 autori presenti, contribuisce a restituirci l’immagine del nostro Paese». La mostra è aperta fino al 7 febbraio. [huge_it_gallery id="48"]    [social_link type="twitter" url="http://twitter.com/simonamaggiorel" target="on" ][/social_link]  @simonamaggiorel      

L’Italia vista dai grandi maestri della fotografia nel corso di ottant’anni. Da Henri Cartier-Bresson a Robert Capa e Paul Strand. Dall’Italia minore raccontata da Cuchi White, quando era ancora studentessa di fotografia, alle visioni provocatorie di William Klein del 1956, fino a Sebastião Salgado che racconta gli ultimi pescatori di tonni in Sicilia, come un’epica, per arrivare poi agli scatti à la page di da Newton e alle visioni di McCurry.

In Palazzo della Ragione a Milano prende vita un lungo e intenso viaggio fotografico, in sette tappe,  lungo la penisola  attraverso trentacinque autori, grazie alla mostra  Italia inside-out. «Il viaggio inizia con un autoritratto di Henri Cartier-Bresson del 1933», racconta la curatrice della mostra Giovanna Calvenzi. Una data che nella memoria collettiva segna il momento più drammatico della storia d’Europa. Quell’anno Heidegger pronunciava il suo discorso di adesione al nazismo. Ma Cartier-Bresson, preferendogli il filosofo Henri Bergson non è fra i tanti intellettuali che si lasciarono incantare dall’autore di Essere e tempo. Osa guardare oltre, rilanciando «il  sogno umanista», con i suoi eleganti scatti in bianco e nero, che riescono a scovare angoli di poesia, di resistenza, di riscatto anche in quegli anni che precipitavano verso la guerra mondiale. «La sua poetica dell’istante decisivo, il suo sogno di fermare il tempo, di cogliere l’attimo nel flusso in divenire della realtà influenzerà a lungo la fotografia di diversi Paesi e sarà adottato da generazioni di fotografia» dice  Calvenzi presentando venti immagini  del grande maestro francese, fra le quali la celebre foto fiorentina che mostra una schiera di tavolini vuoti in uno scenario autunnale, carico di malinconia, ma anche la foto “rubata” nelle strade di Livorno che ci mostra un uomo che legge  un giornale, all’interno di una casa, nell’attimo in cui la brezza solleva la tenda, coprendogli il volto. Evocando l’immagine di un’Italia non arresa, che si informa, che dopo la guerra cerca il modo per ripartire. «Il primo di questi grandi fotografi a raccontare l’Italia fu proprio Henri Cartier-Bresson.  E a lui – sottolinea Calvenzi – è affidato il cuore della mostra e il compito di introdurre il primo itinerario fotografico attraverso scatti dagli anni Trenta in poi. Assieme a quelle di altri 35 autori presenti, contribuisce a restituirci l’immagine del nostro Paese». La mostra è aperta fino al 7 febbraio.

 

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