A due mesi dall'inizio delel primarie, i toni si accendono. Bush lotta per la sopravvivenza, Carson spera nell'effetto outsider. I giovani senatori Cruz e Rubio, lavorano per essere gli ultimi due a contendersi la nomination

Rieccoli: 8 candidati alle primarie repubblicane, una sola donna, a tentare di fare in modo che qualcuno, dopo due ore di discussione, si ricordi di loro. Perché sono stati i più brillanti, per la battuta azzaeccata, per l’attacco giusto contro i democratici e il presidente Obama o per essere apparsi seri e competenti oppure abbastanza conservatori da piacere a quel pezzo dell’elettorato repubblicano più a destra che non ha ancora scelto il suo campione.

Come al solito c’è chi è salito sul palco della FoxBusiness, il canale che mandava in onda il dibattito, sapendo che era la sua ultima chance. E chi voleva evitare danni. In quest’ultima categoria rientrava Ben Carson, che è in testa nei sondaggi nazionali e che di conseguenza è stato messo sotto la lente di ingrandimento dai media. Che lo hanno beccato a mentire su una borsa di studio all’accademia di West Point. Il neurochirurgo conservatore ne è uscito bene: nessuno ha tirato in ballo la cosa e lui, collegandosi alla sua «versione non accurata delle cose», ha attaccato Clinton sull’attacco all’ambasciata Usa a Benghazi chiamandola bugiarda. E poi è stato meno soporifero del solito. Visto che con performance peggiori ha scalato la classifica dei contendenti, questa per lui potrebbe essere un’ottima notizia. Chi invece era alla sua ultima chance era Jeb Bush, a cui i riflettori non piacciono più di tanto. Dall’inizio della sua candidatura si capisce la sua scarsa attitudine all’essere un animale da palco, con la battuta pronta e la voglia di azzannare gli avversari. Non è detto che sia un male, ma quando si è così mal messi nei sondaggi, una performance stellare può aiutare. Non è stato il caso, ieri notte. Anche se ad oggi, Jeb ha fornito la sua prova migliore. I prossimi giorni diranno se è servita a qualcosa o se si tratti di un morto che cammina che ha passato lo scettro del “candidato dell’establishment a Marco Rubio.


I candidati hanno litigato molto. Di tasse, politica estera e immigrazione. Conservatori contro moderati, buon senso contro sparate. Donald Trump, tornato a fare lo spaccone dopo che nell’ultimo dibattito aveva giocato al presidente, è tornato sul muro da costruire al confine con il Messico. «Dite che non funziona? Chiedete a Israele». La risposta di buon senso è venuta dai tre meno di destra sul tema, con John Kasich che gli ha detto: «Andiamo, dire che deporterete 15 milioni di perosne è roba per bambini, non è un discorso da adulti». Anche Bush e Rubio sono pro-riforma dell’immigrazione.

L’altro scontro duro è stato tra il giovane senatore della Florida che i boolmakers danno al momento come favorito e Rand Paul, senatore del Kentucky: «Spiegami se spendere miliardi per il Pentagono è una politica conservatrice». Qui siamo di fronte a uno scontro ideologico tra conservatori di risma differente: da un lato il libertario che vuole semplicemente abolire lo Stato e tornare all’isolazionismo americano, dall’altro quelli che pensano che la leadership americana sia fondamentale a salvare il mondo. Il più falco è Ted Cruz, che dice: «Se pensate che difendere questo Paese sia troppo costoso aspettate di vedere quanto costa non difenderlo». Altra buona performance la sua, che cerca con un certo successo di coagulare i conservatori attorno alla sua candidatura e poi giocarsela con Rubio o Bush (i moderati). E’ lui il vero outsider potenziale, Rand Paul e Huckabee – ormai relegato nel pre-dibattito – non sembrano in grado di farcela.

Ci si è scontrati sull’Isis, con Trump che sostiene l’intervento russo perché «contro quelli va bene tutto e i ribelli nemmeno sappiamo chi siano». E gli altri a spiegargli che la politica estera non è Monopoli. Il miliardario che ha probabilmente toccato l’apice nei mesi scorsi, ha fatto una gaffe vera, spiegando che nel TTP, il Trattato commerciale con i paesi asiatici «non c’è nemmeno una riga sulla manipolazione delle valute da parte della Cina, mentre quella dovrebbe essere la nostra prima preoccupazione». Il fatto, gli hanno fatto notare, è che nel TTP non c’è una riga sul tema perché la Cina non è parte dell’eventuale partnership del Pacifico. Anzi, il TTP è proprio uno strumento commerciale per contenere la Cina. Una brutta gaffe che segnala come Trump davvero non sia preparato su mille cose.

Se si escludono John Kasich e Carly Fiorina, tutti possono dire di portare a casa qualcosa da questo dibattito: Bush è vivo ma in terapia intensiva, Trump deve sperare in un pubblico abbastanza becero e divertito che continui a sostenerlo in quanto uomo di successo lontano a Washington, Carson non si è fatto male e guarda gli altri dall’alto, Paul è tornato ad essere aggressivo.

Ciò detto, Rubio e Cruz hanno mostrato di nuovo di essere bravi, capaci di piazzare le battute e al contempo preparati dal punto di vista dei contenuti. Salvo un autogol di Cruz che spiegando che avrebbe chiuso 5 agenzie federali ha fatto un elenco nominandone quattro (nel 2012 il governatore del Texas Perry ne fece una simile, fu un disastro per lui). Che poi i loro contenuti sarebbero un disastro per l’America e il mondo è un altro paio di maniche. I due senatori, entrambi con un nome ispanico, sono i meglio piazzati per un duello serio tra filosofie politiche di destra. Non è detto che le primarie repubblicane 2016 diventino mai un duello serio.

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