Otto autobus caricati dalla polizia, diversi feriti e tredici arresti dopo che un esponente del governo aveva collegato le proteste ai narcos

Città del Messico – Il video mostra l’attacco frontale dell’esercito contro gli studenti. Il bilancio dei feriti è ancora incerto. La dinamica dei fatti da verificare.

Il copione, però, su ripete: giovani studenti, disarmati, che vengono attaccati dalla polizia e dall’esercito.

Scene tragiche in uno Stato che è immerso in una guerra civile non dichiarata. E per qualche ora le notizie che giungevano nella capitale del Guerrero erano tragiche: 50 studenti desaparecidos, scomparsi. In una notte la storia sembra assumere contorni meno foschi. Gli ultimi comunicati ci confermano la versione degli studenti che sono riusciti a fuggire dalle rappresaglie: non ci sono scomparsi, otto i feriti e tredici gli arrestati, ora tutti rilasciati.

Il 12 novembre 2015, gli autobus erano otto e gli studenti viaggiano lungo l’autostrada che unisce la città di Tixtla a Chilpancingo. Da quando sono scomparsi i loro 43 compagni, gli studenti della Scuola rurale sono in protesta permanente. Organizzano occupazioni di autostrade, manifestazioni, sit-in. Questa volta stavano occupando questo pezzo di autostrada e, in mancanza di benzina, avevano sequestrato un camion che la trasportava, dando così il via alla rappresaglia dell’esercito che ufficialmente reagisce per liberare il camion.

Quelli che sono riusciti a fuggire raccontano: gli autobus vengono attaccati quando passano sotto il tunnel dell’autostrada, el túnel de Libramiento. La polizia inizia a sparare e lanciare gas lacrimogeni sugli ultimi autobus che sono in fila. Riescono a romperne i vetri e ad attaccarli. Alcuni studenti escono dalla trappola tra i vetri rotti delle finestre e fuggono verso le montagne, altri rimangono dentro, svenuti tra il gas e la paura.

Sono stati attaccati direttamente dalla polizia federale. Ci sono immagini, prove e testimoni a certificarlo. Il tono tragico rimane perché i fatti di Tixtla dimostrano che quello che è successo in Ayotzinapa un anno fa, può ripetersi ancora, in qualsiasi momento e più nessuno è al sicuro. Soprattutto quando il tono delle proteste sta crescendo e il dibattito nel paese si polarizza sempre di più.

I giorni che hanno preceduto l’attacco, sono stati densi di eventi significativi. Al centro della scena il segretario di Governo, Miguel Ángel Osorio Chong, che annuncia in una intervista su un quotidiano nazionale, Milenio, che il governo ha le prove per testimoniare la relazione tra gli studenti della Escuela normal rural Raúl Isidro Burgos de Ayotzinapa e la criminalità organizzata. A rispondergli è stato il viceprocuratore per i Diritti Umani della Procuraduría General de la República (PGR, fiscalía), Omar Betanzos, che afferma l’inesistenza di prove che relazionino gli studenti di Ayotzinapa a un qualsiasi cártel del narcotráfico. Secondo molti attivisti per la difesa dei diritti umani in Messico, il gioco è facile da capire: “prima di colpire l’avversario devi screditarlo, deligittimare la sua voce. Se ci riesci, quando lo colpisci non ci sarà più nessuno a difenderlo”.