La vicenda dei 243 licenziamenti dello stabilimento di Gaggio Montano e la protesta che ha coinvolto tutta l'Alta Valle del Reno diventa nazionale. La Philips vuole spostare la produzione in Romania

Diventa d’interesse nazionale – ed era ora – la vicenda della Saeco-Philips di Gaggio Montano, comune dell’Appennino bolognese nel quale l’azienda ha sede da oltre 30 anni. Sul piatto: 243 licenziamenti. Tanti sono infatti, su su 558 (900 se si contano anche quelli impiegati nella produzione di macchine per uffici), gli operai dichiarati in esubero secondo il Gruppo Philips, che nel 2009 acquisì, assieme alla Saeco, un pezzo di storia del territorio. A rischio infatti, non solo il tessuto economico-produttivo, ma anche sociale: coinvolte, sono intere famiglie, oltre 900, per le quali lavoro e vita comunitaria si intrecciano in un’unica identità.

E, purtroppo, di questo sfaldamento sembra essere solo l’inizio. L’azienda olandese produttrice di macchine da caffè, infatti, sta diminuendo e dunque dismettendo una produzione in realtà in forte crescita produttiva ma considerata troppo costosa da realizzare nel nostro Paese, per spostarla in Romania, dove invece lavorerebbe ad alti ritmi e basso costo. Una dinamica tutt’altro che nuova, soprattutto quando parliamo di multinazionali che acquisiscono storici pezzi d’impresa italiana, e che, a cascata, sta facendo tremare anche le centinaia di piccole aziende di commercianti e artigiani del territorio, che sulla produzione, subfornitura e indotto della Philips-Saeco, basano la loro sopravvivenza. «Così si fa morire una vallata», è stata la sentenza lapidaria ed efficace dei rappresentanti Fiom e Fim. Ma i licenziamenti, a detta dell’azienda, sarebbero «necessari a consentire una nuova fase». Quale e in che direzione però, non sembra promettere niente di buono.

«Vista la complessità e la delicatezza della vicenda, la dimensione multinazionale della proprietà e la particolarità del territorio coinvolto nella crisi, si è deciso di allargare il confronto sul piano nazionale», ha dichiarato l’assessore regionale alle Attività produttive, Palma Costi al termine del tavolo di concertazione fallito ieri in Regione. Dentro viale Aldo Moro, sindacati e istituzioni trovavano il muro della proprietà; fuori centinaia di dipendenti (due pullman e altrettante auto) cercavano di abbatterlo facendo la loro parte, manifestando la loro determinazione a non farsi buttare via.
I lavoratori, la loro voce l’hanno fatta sentire anche nei giorni passati: in sciopero dalla settimana scorsa, alla protesta si sono uniti migliaia di lavoratori che hanno marciato per tutta l’Alta Valle del Reno (16 chilometri da Gaggio a Porretta); i titolari dei negozi della zona, sono rimasti chiusi in segno di solidarietà, mentre i supermercati locali hanno portato la spesa ai presidianti dei picchetti istituiti davanti allo stabilimento. A fare da stella cometa, lo striscione: «vi siete portati via il lavoro, non vi porterete via il Natale».

E così, il governatore della un tempo rossa e operaia Emilia-Romagna Stefano Bonaccini, oggi ha incontrato il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, che aveva fatto sapere: «Avevo già preso contatto con l’azienda, che vedrò nei prossimi giorni. Convocheremo un tavolo e troveremo, mi auguro, tutte le possibili soluzioni perché 250 persone non perdano il posto di lavoro».

La richiesta alla Saeco di presentare un piano industriale per incrementare la produzione e conseguentemente salvaguardare i posti di lavoro, arriva da tutte le parti politiche, e in un’interrogazione al ministro, la senatrice Pdl Anna Maria Bernini ha rinnovato la richiesta di introdurre una responsabilità nazionale, sociale e imprenditoriale «al fine di creare una correlazione tra eventuali benefici, finanziamenti o stanziamenti pubblici ricevuti e le eventuali decisioni di delocalizzazione o disinvestimento aziendali». Stessa cosa aveva fatto Giovanni Paglia, deputato di Sel.

Nel frattempo, il presidio prosegue. E gli occhi dell’intera montagna sono ora puntati verso Roma.

Impicciarsi di come funzionano le cose, è più forte di lei. Sarà per questo - o forse per l'insanabile e irrispettosa irriverenza - che da piccola la chiamavano “bertuccia”. Dal Fatto Quotidiano, passando per Narcomafie, Linkiesta, Lettera43 e l'Espresso, approda a Left. Dove si occupa di quelle cose pallosissime che, con suo estremo entusiasmo invece, le sbolognano sempre: inchieste e mafia. E grillini, grillini, grillini. Dalla sua amata Emilia-Romagna, torna mestamente a Roma, dove attualmente vive.