La foto di Aylan Kurdi su una spiaggia di Lesbos ci aveva fatto dire «mai più!». Da allora lo abbiamo ripetuto altre ottanta volte. Senza che sia cambiato nulla.

“Nunc et in hora mortis nostrae. Amen.”
La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz’ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Gloriosi e Dolorosi; durante mezz’ora altre voci, frammiste, avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d’oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e durante quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in chissà quali sogni, come la si vedeva sempre.

(Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)

Ottanta volte “mai più!”. Il primo fu il piccolo Aylan, spiaggiato morto con i polmoni pieni d’acqua in posa di una moderna pietà, con un poliziotto al posto di Maria e lui raccolto come un fagotto al posto del cristo. Chissà che ne sanno della guerra e dell’Europa quei bambini che si imbarcano in qualche bagnarola del mare in mezzo agli adulti con le dita incrociate per sperare di approdare davvero in un posto qualsiasi.

Il “mai più!” dopo la foto di Aylan Kurdi era risuonato gridato a pieni polmoni da tutte la parti d’Europa, con i leader in prima fila a dirci che “no, non si può continuare così” e che “siamo tutti colpevoli”. E vi ricordate tutti quanto l’immagine sia rimbalzata da tutte le parti, dalle bacheche di Facebook ai giornali, settimanali e blog sparsi in giro. Si era anche pensato che la forza di un’immagine, con tutte i dubbi etici nel renderla pubblica, avrebbe dato un senso a quella morte così osservata, distribuita e commentata. Quel “mai più!” all’unisono forse davvero aveva acceso l’idea che qualcosa cambiasse.

Sette bambini, di cui uno neonato, sono morti nelle scorse ore nella stessa zona del Mar Egeo: alle 2.30 di notte un gommone di profughi afghani diretti a Chios si è rovesciato uccidendo, tra gli altri se bambini tra cui uno di appena sei mesi e a poche ore di distanza sulla spiaggia di Pirlanta, a Cesme, il mare ha restituito il corpo di una bambina siriana di 5 anni. “Mai più! risputati come noccioli sulle spiagge tra le rotte della speranza, solo che questa volta fanno molto meno rumore: del resto sono 80 i bambini morti da quel giorno di Aylan. Ottanta.

È come la continua ultima sigaretta di Zeno che trova sempre un motivo per spostarsi al domani in una lenta e ciclica posticipazione delle proprie responsabilità. Mi chiedo che forma abbiano questi ottanta “mai più!” morti dopo il primo: se sono il frutto di un’indifferenza su cui non riusciamo proprio a non appoggiarci oppure ha il gusto rancido della retorica abusata dalla politica, mi domando se un “mai più!” ripetuto ottanta volte senza che nulla cambi sia un buon capitolo aggiuntivo di un Gattopardo moderno oppure più semplicemente il mantra di una fallimento svuotato dal senso originale.

E chissà che a qualcuno non vengano, prima che ne muoiano altri ottanta, in mente parole nuove che spezzino questa catena che ci ritrova costretti ad abituarci alle tragedie peggiori. Perché un promessa ripetuta senza essere mai rispettata è un colpa che davvero no, non dovremmo farci infliggere. Eppure succede.