Il segretario del Labour ha verificato le difficoltà a governare il suo partito durante il dibattito alla Camera dei Comuni sulla Siria, quando diversi dei suoi hanno votato con Cameron. Il suo non sarà un anno facile

Vestito con una semplice giacca a vento, serio e preoccupato, si ferma a parlare con una signora che ha avuto l’appartamento allagato. Insieme con i vigili del fuoco, cammina tra i divani e i mobili spostati sulla strada ad asciugare. E promette: «Il partito laburista farà di tutto per garantire che la Gran Bretagna rispetti ed applichi  l’accordo sul clima siglato a Parigi». Jeremy Corbyn non si smentisce e l’immagine che ha dato dopo l’alluvione di Cockermouth e Carlisle in Cumbria qualche settimana fa ben rappresenta il personaggio. Perché il leader laburista che si definisce socialista  ama stare in mezzo alla gente.

Ma chi è Jeremy Bernard Corbyn? Ciclista convinto, pacifista, vegetariano da quasi cinquant’anni, tre mogli e tre figli,  il 66enne nato a Chippenham è la vera sorpresa della politica britannica del 2015. E forse, chissà, anche a livello europeo Corbyn può rappresentare una risposta alla politica dell’austerità. Owen Jones, l’editorialista del Guardian, ha ben evidenziato (su Left n.49) come Corbyn sia riuscito a intercettare «il malcontento di una generazione penalizzata dal debito, dall’instabilità lavorativa, dall’assenza di alloggi a prezzi accessibili e dalla distruzione del sistema di previdenza sociale».

«Assistenza sanitaria per tutti, salute mentale per tutti, educazione per tutti. E una politica per la casa che favorisca i giovani». A cento giorni dalla sua nomina a segretario del Labour, Corbyn non rinuncia alle idee che sono state le ragioni del suo successo. Quando il 12 settembre è diventato segretario del Labour Party con il 59 per cento delle preferenze – con moltissimi giovani inglesi che si sono iscritti al partito
proprio per votarlo – , schiacciando sonoramente quello che era il favorito, Andy Burnham, Corbyn vantava 32 anni di militanza nell’ombra del partito. Stupore, rabbia all’interno del Labour più consrevativo e soddisfazione da parte dei Tory che sperano in scivoloni futuri di Corbyn: questo il clima in cui è nata la sua vittoria.

Per contrastarlo, era sceso in campo lo stesso Tony Blair. Da che pulpito verrebbe da dire, visto che l’ex leader laburista, dopo un mese dall’elezione di Corbyn si è scusato pubblicamente per la guerra in Iraq. Comunque la lettera di Blair – che in Italia è stata pubblicata in un’intera pagina dal Corriere della Sera – non è riuscita a ostacolare l’ascesa di questo signore dalla bella barba bianca che parla un inglese semplice e usa spesso nei suoi interventi la parola “passione”. Il suo partito ha dovuto prendere atto dei cambiamenti: 500mila iscritti, sono una linfa vitale per il Labour. Rinazionalizzazione delle ferrovie e dei servizi pubblici, lotta alle diseguaglianze, pacifismo a oltranza: questi i punti di forza di una politica che si pone decisamente controcorrente rispetto a quella dei suoi predecessori.

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(La copertina di Left dedicata a quello che diventerà il leader laburista)

Sono intervenuti anche 41 economisti per sostenere la cosiddetta Corbynomics, cioè politiche statali in grado di favorire investimenti pubblici. Tra questi Marianna Mazzucato e David Blanchflowerm che è stato membro del Monetary Policy Commitee della Bank of England. Che cosa sostengono questi economisti e docenti universitari nella loro lettera diffusa prima della vittoria di Corbyn? «Tagliare gli investimenti pubblici in nome della prudenza è un errore poiché ciò limita la crescita, l’innovazione e gli incrementi di produttività, mentre invece la nostra economia avrebbe proprio bisogno di migliorare in tutti questi àmbiti». La politica estremista quindi non è quella di Corbyn, secondo questi economisti, ma del governo di Cameron che taglia la spesa sociale.

Ma fin da subito non sono state rose e fiori per Corbyn segretario del Labour. Se infatti i militanti stravedono per lui, lo stesso non si può dire per i parlamentari laburisti e per i membri storici del partito. Anzi. Lo si è visto al momento del voto sugli attacchi aerei in Siria dopo gli attentati terroristici di Parigi. Sono stati 67 su 232 i parlamentari del Labour che hanno votato secondo le direttive di Cameron. Netto invece il no di Corbyn all’intervento militare. Così come è stata chiara la denuncia del comportamento di Cameron che ha svuotato il dibattito chiamando «quelli che votano contro l’estensione degli attacchi aerei simpatizzanti dei terroristi».

Nel video qui sotto il dibattito, nel quale si notano un paio di interventi che prendono le distanze dal segretario del Labour

Come ha scritto Tariq Ali su Il Manifesto del 15 settembre, l’opera di Corbyn non sarà facile. «E’ fondamentale che ci sia un movimento potente fuori dal parlamento; è l’unico modo per assicurare che l’agenda di Corbyn possa essere pienamente onorata». Si tratta di avere pazienza, anche perché la realtà è che molti laburisti al Parlamento hanno approvato i provvedimenti di austerity. Del resto, Tony Blair e il blairismo hanno pesato tantissimo. Sarà vero che, come scrive Ali, «I morti viventi hanno perso e la politica inglese è tornata a vivere?». Dimostrare questo è la grande sfida che attende Corbyn nel 2016. E non sarà facile.

 

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.