Il via libera per la cancellazione del reato di clandestinità (bocciato dalla Corte europea dei diritti umani) slitta al 15 gennaio. Il governo in difficoltà tra il ministro della Giustizia che accelera e Alfano che promette di dare battaglia

Il reato di clandestinità non è ancora stato cancellato. Nonostante siano molti i titoli di giornali a optare per questa affermazione. È più corretto invece affermare che all’interno del governo Renzi c’è uno scontro sulla depenalizzazione del reato di clandestinità. Con Alfano ed Ncd che promettono battaglia e il ministro della Giustizia Andrea Orlando che è il primo sostenitore di questa legge. Insomma, il decreto è già pronto ma il via libera slitta alla prossima settimana, al 15 gennaio. Si tratta di cancellare il reato di clandestinità, fermo restando il provvedimento di espulsione del prefetto e quindi l’allontanamento dal Paese. E senza che venga aggiunta una sanzione pecuniaria. Significa questo, concretamente, depenalizzare. E la depenalizzazione è in agenda per il Consiglio dei ministri della prossima settimana. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando rompe gli indugi che avevano fatto stralciare la misura dalla versione del decreto legislativo approvata prima di Natale in via preliminare dal Consiglio dei ministri. Determinante in questo senso la richiesta avanzata, a titolo di condizione, dalla commissione Giustizia della Camera, mentre il Senato sul punto non si è espresso.

Punisce uno status e non un comportamento
Introdotto in Italia nel luglio del 2009, il reato di clandestinità punisce chi entra nel nostro Paese in modo illegale: con un’ammenda da 5mila a 10mila euro o, in alternativa, da uno a cinque anni di reclusione. Tecnicamente, con il decreto che attende il vaglio, si tratta della soppressione del reato previsto dall’articolo 10 bis del Testo unico sull’immigrazione, inserito nel 2009 per volere dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni. A nemmeno due anni dalla sua approvazione, nel 2011, è arrivata la bocciatura dell’Europa: per la Corte europea di Giustizia il provvedimento rischia di ledere il rispetto dei diritti fondamentali.

Per i giudici di Lussemburgo: «La direttiva sul rimpatrio dei migranti irregolari osta a una normativa nazionale che punisce con la reclusione il cittadino di un paese terzo in soggiorno irregolare che non si sia conformato a un ordine di lasciare il territorio nazionale. Una sanzione penale quale quella prevista dalla legislazione italiana può compromettere la realizzazione dell’obiettivo di instaurare una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio nel rispetto dei diritti fondamentali». Una sentenza, quella della Corte, che era arrivata a seguito del caso del «cittadino di un Paese terzo entrato illegalmente in Italia», ovvero El Dridi. Il primo caso in cui veniva punito non un comportamento ma uno status, quello di clandestino appunto. Nei suoi confronti, nel 2004, era stato emanato un decreto di espulsione, poi, nel 2010, gli è stato ordinato di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni per via della mancanza di documenti di identificazione e dell’impossibilità – per mancanza di posti – di ospitarlo in un centro di permanenza temporanea (oggi lo avrebbe atteso un Cie). Non avendo obbedito a tale ordine, El Dridi è stato condannato dal Tribunale di Trento ad un anno di reclusione.

Lo scontro nel governo delle – troppo – larghe intese
Non è solo la bacchettata europea a spingere il ministro Orlando ad accelerare (se così si può dire, dato il ritardo) sul decreto depenalizzante. Per il ministro, infatti, «l’introduzione del reato di immigrazione clandestina, al di là della valutazione nel merito di tale scelta, non ha avuto alcuna funzione deterrente, com’era in verità facilmente prevedibile, se si considera che i migranti non leggono quotidianamente la Gazzetta Ufficiale. Con questo non voglio dire che l’introduzione del reato di immigrazione clandestina ha portato a un aumento dei flussi, ma di sicuro, da quando il reato è stato introdotto, non si è avvertito alcun effetto deterrente», ha detto Orlando la scorsa estate durante l’audizione parlamentare. Ma quella bestia strana a due teste, chiamata governo delle larghe intese (la ricordate ancora questa espressione?) torna a scalpitare. Al suo interno infatti spicca la posizione di Angelino Alfano, oggi a capo del Viminale e all’epoca dell’introduzione del reato di clandestinità a capo del ministero della Giustizia del governo Berlusconi. Lo stesso governo che ha voluto e introdotto la norma che oggi si vuole cancellare. Dichiarazioni di Alfano, al momento non ce ne sono. Il quotidiano Repubblica riporta dell’intenzione degli alfaniani di dare battaglia per ostacolare la cancellazione del reato di clandestinità. Soprattutto oggi, dicono, all’indomani dei fatti di Colonia.

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