Mentre si vota la riforma costituzionale, alla Camera giuristi e magistrati spiegano perché il ddl Boschi rappresenti un «superamento della costituzione». E' l'uscita ufficiale del Comitato del No. Con Rodotà, Carlassare, Zagrebelsky, Azzariti, Villone, Ferrara, Grandi e Pace. Parla il giudice Domenico Gallo.

Una giornata particolare e due eventi quasi paralleli: mentre alla Camera i deputati approveranno il ddl Boschi, la riforma costituzionale che sancisce la fine del bicameralismo perfetto, poco distanti, nell’aula dei gruppi parlamentari costituzionalisti e magistrati spiegheranno “le gravi violazioni apportate da tale riforma ai principi costituzionali supremi”. Dire che si tratta di due opposte visioni dello Stato è quasi un eufemismo.

All’incontro del Comitato per il no al referendum sulla riforma costituzionale, presieduto da Alfiero Grandi e Domenico Gallo del Coordinamento per la democrazia costituzionale, prenderanno parte e parleranno: Alessandro Pace, Lorenza Carlassare, Stefano Rodotà, Massimo Villone, Felice Besostri, Gianni Ferrara, Gaetano Azzariti. Le conclusioni sono affidate a Gustavo Zagrebelsky. Sono i “professori” a cui i renziani sono allergici. Un gruppo di giuristi, magistrati e costituzionalisti che in questi mesi si è opposto in tutti i modi alla riforma costituzionale Boschi. Con Domenico Gallo, magistrato e giudice di Cassazione facciamo il punto sull’incontro di oggi a cui sono invitati, ricordiamo, tutti i parlamentari dell’opposizione.

Giudice Gallo, ci spieghi il senso di questo appuntamento del Comitato del no.

La cultura giuridica democratica si organizza e lancia un messaggio alla società. Lo fa attraverso un dibattito pubblico a cui partecipano personalità che sono espressione del più alto livello raggiunto da questa cultura in Italia. Il problema non è fare il referendum pro o contro Renzi: questo è il modo scorretto di affrontare la questione della partecipazione dei cittadini alle decisioni circa la costituzione. Che è, ricordiamo, la casa di tutti. La Costituzione è qualcosa che va al di là delle vicende di Renzi o di qualche altro politico, è l’architettura dei poteri attraverso i quali vive una società organizzata in Stato.

E cosa accade se si cambia la Costituzione?

Quando si cambia questa architettura, dobbiamo ragionare per vedere se è confacente ai nostri bisogni, ai nostri desideri e alle nostre aspettative di libertà. Oppure se la nuova architettura non rischia di essere una prigione o di farci passare da una repubblica a una sorta di principato.

Un principato?

Attraverso una interazione tra riforma costituzionale ed elettorale, viene fuori non una revisione della Costituzione ma il suo superamento. Lasciamo la Costituzione repubblicana con i suoi pesi e contrappesi per entrare in un altro territorio. Questa non è una lotta tra conservatori e riformatori. In realtà i riformatori attuali vogliono spostare l’orologio non in avanti ma indietro. Vogliono farci tornare ad una situazione precedente all’avvento della Repubblica, in cui l’architettura dei poteri è orientata all’autocrazia. Vorrebbero creare un principato, non una repubblica democratica fondata sull’eguaglianza dei cittadini e sul parlamento rappresentativo.

Chi si oppone alla riforma costituzionale viene accusato di essere difensore della casta, come ha detto Renzi. Che tipo di lavoro vi attende?

Noi dobbiamo spiegare come stanno le cose. Certe riforme passano con il consenso popolare solo attraverso la mistificazione dei problemi reali e quindi si inventano degli slogan. Si cavalca una insoddisfazione che è palese e profonda del popolo italiano rispetto al ceto politico, ma per colpire le istituzioni democratiche, per ottenere l’eterogenesi dei fini. Perché se noi siamo insoddisfatti e non abbiamo fiducia in questi partiti e in questo ceto dirigente, si crea un clima per cui poi alla fine si mette tutto in mano a un super partito con super poteri. Questo va in direzione opposta alle aspirazioni del popolo italiano.

A chi vi rivolgete? Ci saranno interventi dei politici?

In questa fase non è previsto l’intervento dei politici. Vogliamo che il discorso sui motivi per cui ci opponiamo a questo progetto di riforme debba nascere dalla cultura democratica. Che naturalmente deve incontrare le parti politiche e deve estendersi e raggiungere i cittadini attraverso una mobilitazione di base che noi ci sforziamo di far sorgere. In questa prima fase è necessario mettere a fuoco gli argomenti di merito, in modo che poi ci possa essere la buona politica. Bisogna insomma superare il divorzio tra la cultura e la politica e dobbiamo superarlo partendo dalle reazioni della cultura giuridica democratica. Comunque rivolgeremo un appello ben preciso ai parlamentari che votano no alla riforma costituzionale. Chiederemo di promuovere loro il referendum, previsto dall’articolo 138 della costituzione. Speriamo che ci siano comunicazioni in tal senso durante l’assemblea, ma lo dovrebbero richiedere un minuto dopo l’approvazione del testo (ad aprile il sì definitivo e la seconda lettura formale tre mesi dopo Ndr).

Quali sono gli errori più macroscopici della riforma per cui si rischierebbe il principato?

L’impostazione generale porta ad un risultato che sfigura profondamente l’architettura dei poteri. Con questa riforma si toglie di mezzo un ramo del Parlamento che si riduce ad una sola Camera, ma su questa grava lo “scarpone” del capo politico, del presidente del Consiglio, del capo del partito vincente, che in pratica nomina quasi tutti i parlamentari del suo gruppo e dà un controllo anche sui tempi, per cui viene sancita la supremazia del governante sull’unica Camera che legifera , venendo indeboliti gli organi di garanzia. L’unico partito che controlla il Parlamento, un po’ alla volta controllerà il Presidente della Repubblica e attraverso questi aumenterà la sua influenza sulla Corte costituzionale – quello che voleva Cossiga – . Un potere esecutivo forte e garanzie deboli. E’ proprio questo di cui abbiamo bisogno? Sarebbe meglio un potere esecutivo autorevole suffragato dal voto e garantito da strumenti di garanzia forti che consentano di correggere tutti gli abusi di potere. La doppia decisione svolge la funzione di garanzia, consente ai cittadini di partecipare, di stimolare il Parlamento a cambiare le leggi. L’esperienza storica ce lo insegna. La Corte costituzionale, per esempio, è stata costretta a cancellare leggi palesemente irragionevoli. Soprattutto in un momento come questo in cui per le vicende internazionali i diritti fondamentali sono indeboliti, bisogna rafforzare le garanzie e non i poteri di chi comanda.

La motivazione della riforma è garantire la governabiltà. Lei che dice?

Sì, è questo l’argomento chiave, su cui l’opinione pubblica spesso si ritrova. Ma il dogma della governabilità è il vecchio argomento dei sostenitori del principato che sarebbe più stabile rispetto alla repubblica. Non ci piace questo, perché non ci salva dagli abusi. La stabilità deve essere basata sul consenso e sull’autorevolezza della politica. E non può essere fondata diminuendo i contropoteri.

Per l’autorevolezza della politica occorrerebbero anche la riforma dei partiti e classi dirigenti più competenti…

Sì, certo, ma per avere la riforma dei partiti e delle classi dirigenti, occorre che ci sia la piena agibilità politica delle istituzioni rappresentative. Cioè che ci sia la possibilità che si crei concorrenza tra i partiti affinché tutti possano accedere nelle istituzioni. Come purtroppo è avvenuto negli anni del maggioritario, la qualità della classe dirigente scade sempre, perché non la possiamo rinnovare, non la possiamo cambiare, decidono tutto loro. Se noi eliminiamo i controlli e diminuiamo la possibilità di essere rappresentati e di incidere sui nostri rappresenntanti, poi purtroppo la qualità delle classi dirigenti diventa scadente.

Come sta andando il rapporto tra il Coordinamento e la Coalizione sociale con la quale già dall’anno scorso ci sono stati incontri sul tema dei referendum?

Abbiamo avviato il percorso sui due referendum abrogativi dell’Italicum e la raccolta delle firme dovrebbe partire ad aprile. Contemporaneamente dovrebbero partire dei referendum promossi dalla Fiom (su cui si devono esprimere gli iscritti Cgil Ndr) sulle questioni del Jobs act e sono in cantiere anche i referendum che riguardano la Buona scuola. A questo punto si dovrebbe creare la coalizione sociale nei fatti. Nella società, attraverso l’impegno concreto di sindacati, movimenti, comitati. Speriamo poi che questa coalizione sociale quando si arriverà al referendum, faccia sentire pienamente la sua voce.