Nel suo ultimo discorso annuale davanti al Congresso e nell'anno elettorale il presidente chiede agli americani di non farsi affascinare dalla retorica del declino e di guardare al futuro con ottimismo, sfidando il cambiamento e non avendone paura

Obama contro Trump, ma senza nominarlo. Ottimismo e volontà contro paura e divisione. Retorica contro retorica, che la politica è anche quello. Mentre legge il suo ultimo Stato dell’Unione, Obama, il presidente che aveva promesso speranza e cambiamento sa che molti americani tendono ad accettare l’idea venduta dall’ampia pattuglia di candidati alle primarie repubblicane: l’America è in declino (per colpa dei democratici) e torna grande adottando qualche ricetta aggressiva e feroce. Sbagliati, pensa il presidente: l’ISIS, un’economia e una società che cambiano sono preoccupanti solo si reagisce con paura e pessimismo. Non è un concetto nuovo, Obama lo ha ripetuto in maniera ossessiva quando era in difficoltà e quando aveva il vento in poppa.

Nell’anno elettorale la sua retorica suona come una sfida diretta a un partito repubblicano che è stato compatto contro di lui su ogni grande questione. Anche perché l’agenda delineata nel discorso davanti al Congresso, sicurezza nazionale esclusa, vedono la leadership repubblicana su un fronte opposto ai democratici. Le ricette sono davvero diverse e i partiti divisi come mai in passato. Per un Paese che ha spesso funzionato a colpi di compromessi – buoni e cattivi – questo è un problema per il funzionamento della democrazia.

Per questo l’ultimo SOTU – l’acronimo di State of the Union, che si sa, gli americani trovano una sigla per tutto – è in fondo un discorso che cerca di delineare il terreno della campagna elettorale. La prima cosa è, di fronte alle sfide si risponde con le sfide, non con le bombe, le vendette, la chiusura in se stessi. «Quando i russi mandarono lo Sputnik nello spazio non abbiamo tagliato i fondi della ricerca, abbiamo costruito un programma spaziale dalla sera alla mattina e pochi anni dopo camminavamo sulla luna». Positivi, solidali ma anche competitivi. Obama prova a ricordare all’America cosa la rende un Paese capace di guardare al domani, che vuole diventare il posto «che sconfigge il cancro una volta per tutte». «E anche se credete che il cambiamento climatico non esista – e sareste piuttosto soli – pensate all’importanza di investire in tecnologia pulita e di diventare noi l’avanguardia tecnologica su questo terreno, essere capaci di vendere noi l’energia del futuro»: il cambiamento, che ci piaccia o no, si affronta e da questo ci si può guadagnare. L’idea che si possa porre un freno a quanto succede è un’illusione. Avesse voluto essere più aggressivo, il presidente avrebbe potuto dire una bugia. Ma pur essendo un discorso a modo suo elettorale, si tratta pur sempre di un momento istituzionale, l’ultimo, e quindi il presidente non polemizza.

Una stagione politica si chiude tra un anno e Obama promette di provare a spingere ancora la sua agenda. Sapendo che avrà a che fare con un clima elettorale che, da quel che vediamo, i suoi avversari ripeteranno in maniera ossessiva l’idea che questi anni sono stati un disastro a causa di ricette sbagliate adottate. È davvero così? «Il mondo guarda a noi per contribuire a risolvere alcune crisi, e la nostra risposta non può essere alzare i toni o annunciare bombardamenti a tappeto – dice il presidente – Può funzionare come battuta in un dibattito pubblico, ma non funziona sulla scena mondiale».
E «Quando un politico insulta i musulmani, quando una moschea viene vandalizzata o un bambino finisce vittima di bullismo, non siamo più sicuri e raccontarlo non è dire la verità, è semplicemente sbagliato». A Donald Trump e Ted Cruz, che sono primi nella corsa per le primarie repubblicane fischiano le orecchie.

Ma non è solo la politica estera il tema: le paure degli americani non si limitano all’ISIS o all’immigrazione. C’è un’economia che corre e uno sviluppo tecnologico che cambia la vita in meglio e in peggio. Se in questi anni l’economia è tronata a crescere e il settore privato ha creato una marea di posti di lavori, restano i grandi temi della distribuzione iniqua della ricchezza e dell’impatto di globalizzazione e sviluppo tecnologico sull’economia delle persone che lavorano: «La tecnologia non sostituisce solo la catena di montaggio, c’è più competizione internazionale e le imprese sono meno legati alle loro comunità. Tutte dinamiche che hanno strizzato i lavoratori, anche se hanno un lavoro. Sono trend che non sono solo americani». E che si contrastano con più welfare e ricerca e incentivando chi investe sui propri lavoratori, sull’innovazione e sul territorio. E poi con più regole e cambiando il sistema fiscale in maniera da renderlo più equo. Le insicurezze non sono figlie dell’immigrazione.

All’inizio del discorso, spiegando che non parlerà delle cose da fare, Obama abbozza anche un elenco di priorità. Si tratta di temi che sono nell’agenda politica perché grandi campagne le hanno promosse. Sono priorità di sinistra che non possono piacere ai repubblicani: «Riformare il sistema dell’immigrazione, aumentare la paga minima oraria, proteggere i nostri figli dalla violenza delle armi, stessa paga per stesso lavoro, ferie e malattia pagate restano le cose da fare e proverò a farle».

Ci riuscirà? Nell’ultima parte del discorso Obama fa un po’ di autocritica: «Non sono stato capace di unire, uno come Lincoln o Roosevelt ci sarebbe riuscito». E l’agenda che ha in mente non aiuterà a superare le divisioni. Neppure l’appello a una profonda riforma della politica, il tema dei temi per la democrazia americana – e in parte per la democrazia in generale. Come si riduce il potere di influenzare le scelte di chi ha più soldi? Come si fa in modo che le istituzioni funzionino meglio e i politici lavorino per il bene comune anziché pensare a regole che ne favoriscano la rielezione? E come fare in modo che i repubblicani accettino l’idea di far crescere la partecipazione al voto, sapendo che più schede nell’urna nell’immediato significano meno voti per loro? La verità è che l’unica è puntare sugli americani, convincerli che è l’ottimismo e non la paura a spingere avanti un Paese. E sperare che le nuove generazioni, cresciute negli anni della crisi non si facciano convincere dall’idea che i musulmani si cacciano assieme ai messicani e che per far crescere l’economia basta aumentare le tasse. La demografia gioca per i democratici, se solo riusciranno a far credere alle minoranze e ai giovani al messaggio ottimistico di Obama. Per questo, l’ultimo Stato dell’Unione di Obama è un discorso elettorale, anche se quello di un leader destinato a non correre per la rielezione. Giovedì c’è un dibattito tra candidati repubblicani, sarà divertente osservare come risponderanno. Non saranno gentili. Eccovi un assaggio: lo speaker della Camera Paul Ryan, dopo aver twittato, «Io e il presidente non andiamo d’accordo, sarà difficile non mostrarlo nella mimica facciale durante il discorso» ha dato un giudizio con il tweet qui sotto: «Non posso dire di essere deluso, non mi aspettavo granché». Trump parla di discorso noioso e inascoltabile e spiega che l’economia va male e il Paese è nel caos. Obama non li ha convinti, per fortuna non ci ha nemmeno provato.

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