Centinaia di Foreign Fighters in Siria e i gruppi jihadisti più importanti che hanno deciso di giurare fedeltà al Califfato. Sulawesi la base operativa. Le autorità indonesiane si aspettavano un attacco

Le autorità indonesiane non hanno dubbi: c’è l’ISIS dietro all’attacco a Jakarta. Da quando il 13 novembre Parigi è stata messa a ferro e fuoco, l’Indonesia sostiene di avere ricevuto seri segnali e annunci di attacchi. Il primo Paese musulmano del pianeta non è nuovo a stragi terroristiche, anche se spesso queste sono figlie di scontri tra comunità (a Sulawesi, tra cristiani e musulmani) esplose dopo la caduta di Suharto nel 1998. Lo stesso Suharto è alla base della nascita dei gruppi armati come Jemaah Islamiyah, i cui leader finirono diverse volte in carcere e in esilio durante il suo regime.

L’attentato peggiore è quello del 2002, quando Jemaah Islamiyah fece 200 morti a Bali. L’ultimo attentato grave è del 2009, contro un hotel Marriot. Un assalto con kamikaze e commandos armati, più piccolo ma simile nella dinamica a quelli di Delhi e Parigi, non si era mai verificato. Secondo l’intelligence indonesiana la guerra civile siriana e la nascita del Califfato hanno ridato slancio alle organizzazioni islamiste, consentendo loro, attraverso i viaggi di andata e ritorno di ristabilire relazioni internazionali dopo che quelle con al Qaeda non hanno più la forza che in passato.

Se sul terreno qualche gruppo indonesiano ha portato aiuti ad al Nusra (al Qaeda in Siria), il Consiglio dei mujaheddin, principale gruppo jihadista del Paese, che viene da Sulawesi, e la maggior parte dei siti di ispirazione jihadista hanno deciso di stare con il Califfato. Del resto Daesh parla della creazione di un Califfato e si rivolge all’Islam globale, mentre al Nusra nasce e cresce come un gruppo anti-Assad, meno attraente per qualcuno che viene dall’estero. Il 4 agosto 2014 un video dal titolo traducibile con «Compattare i ranghi» veniva postato su YouTube, il filmato mostrava un combattente indonesiano in Siria che faceva appello a partire per la Siria e a unirsi alla guerra globale.

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(Un fotogramma del video del 4 agosto che invita indonesiani e malesi a unirsi all’Isis)

Decine di indonesiani legati a Hilal al-Ahmar, l’organizzazione umanitaria del gruppo terroristico Jemaah Islamiyah (JI), hanno fornito aiuto pratico al Califfato, mentre alcune centinaia di combattenti hanno formato con altre persone provenienti da Malesia e forse Filippine, una brigata del Sud est asiatico. Detachement88, l’unità speciale anti-terrorismo della polizia indonesiana dice di aver documentato 202 casi, mentre gli esperti di USAID parlano di 350. Le reclute ISIS sono sia giovani che vecchi jihadisti appartenenti a gruppi armati già attivi. Si tratta di studenti, persone marginali, ma anche di laureati e professionisti. Le reti jihadiste indonesiane che hanno scelto in maggioranza di stare con l’ISIS (e quindi non con al Nusra/al Qaeda) hanno svolto il ruolo di tramite: in Indonesia, insomma, il foreign fighter che parte è già immerso in un contesto jihadista.
La preoccupazione delle autorità indonesiane era proprio quella di assistere a un ritorno degli attentati kamikaze o esplosivi frutto dell’addestramento e della formazione alla costruzione di bombe in Siria e Iraq. Un rapporto dell’agenzia per la cooperazione degli Stati Uniti (USAID) del settembre 2015 sostiene che lo scarso impatto dell’ISIS nel Paese fino a questo momento sia dovuto a un numero di ritorni nel Paese di militanti ISIS piuttosto limitato.

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Schermata 01-2457402 alle 15.26.55Diversi rapporti indicano come la base dell’ISIS sia potenzialmente forte perché, come scrive l’ Institute for Policy Analysis of Conflict di Jakarta «l’idea di restaurare il Califfato e la retorica sulla sofferenza dei musulmani sunniti così come il fatto che riferimenti alla Siria si trovino in alcune predizioni di escatologia islamica, che fanno riferimento alla battaglia finale alla fine dei tempi che avrà luogo a Sham, la regione denominata Grande Siria o Levante, a cavallo tra Siria, Giordania, Libano, Palestina e Israele». USAID parla anche della speranza di un buon salario e di servizi adeguati: alcuni resoconti da Raqqa e racconti di donne fuggite dalla città capitale del Califfato indicano come i foreign fighters godano di privilegi speciali, il che rende credibili queste ipotesi. L’Ipac parla di mille-duemila persone possibilmente aderenti all’ISIS nel Paese.

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Gli attentati più gravi in Indonesia

12 ottobre 2002: Gli attentati di Bali fanno 202 vittime, tra questi 88 Australiani e 28 britannici. Le autorita accusano Jemaah Islamiyah (JI)
5 agosto 2003: un’autobomba al JW Marriott Hotel di Jakarta uccide 12 persone e ne ferisce 150 15 presunti Membri della JI condannati
1 ottobre 2005: un kamikaze uccide 23 persone in un ristorante a Bali
7 luglio 2009: Sette morti e 50 feriti al Ritz-Carlton e al JW Marriott Hotel a Jakarta

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Nelle scorse settimane il governo indonesiano aveva spedito un migliaio di soldati a Sulawesi per dare la caccia al leader dei Mujaheddin dell’Indonesia Orientale (MIT) Abu Wardah Santoso, che si nasconde nelle foreste della regione di Poso, dove organizza campi di addestramento. Secondo il governo indonesiano Santoso, che è molto attivo online e si è fatto un nome anche in ambienti jihadisti internazionali, potrebbe diventare il terminale dei foreign fighters che tornano in Indonesia dalla Siria. Santoso, che si è dato alla macchia da almeno tre anni – così dice sua moglie – è un fan dei metodi di Daesh, se è vero che il suo nome di battaglia è stato, Abu Mus’ab Al-Zarqawi Al Indunesi, il primo a utilizzare metodi brutali e a diffonderli come strumento di propaganda come oggi fa il Califfato.

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(Abu Wardah Santoso)

Il Majelis Mujahidin Indonesia (MMI), o Consiglio indonesiano dei mujahedeen, è un’organizzazione ombrello dei gruppi islamici indonesiani. Fondata Abu Bakar Bashir, leader spirituale della Jemaah Islamiyah, rete transnazionale terroristica a sua volta figlia di Darum Islam, gruppo islamista nato dopo la presa del potere in Indonesia da parte di Suharto. Abu Bakar Bashir non è necessariamente implicato in attentati, ma è senza dubbio la guida spirituale più importante dei gruppi jihadisti. I video e i comunicati del MIT di Santoso portano anche la bandiera nera dell’ISIS come intestazione.

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