Incalzata dal candidato socialista nei sondaggi, Hillary lo attacca sulle armi e difende Obama. Lui risponde sulla finanza. Ma i toni non sono accesi: nessuno vuole inimicarsi la base elettorale dell'altro

Paragonati agli scambi di accuse tra repubblicani di qualche giorno fa, i toni accesi del dibattito tra Clinton e Sanders prima del voto in Iowa non sono nulla. Ma certo, c’era da aspettarselo, a pochi giorni dall’inizio delle primarie e con il senatore socialista che incalza la candidata “predestinata” del partito democratico sia in Iowa che in New Hampshire, un po’ di bordate i due se le sono sparate.

Sanders accusa Clinton di non essere abbastanza dura con le banche che spesso la finanziano, Hillary ribatte che il senatore del Vermont ha votato sempre contro ogni tentativo di introdurre regole per ridimensionare la circolazione di armi nel Paese. Ma l’argomento del primo è più forte: Hillary risponde alle accuse sui legami con Wall Street che lei è pronta a difendere la legge Dodd-Frank già approvata con Obama, che introduce alcuni controlli e limiti alle banche e alla finanza. Il problema è che la forza di Sanders, magari limitata a una base liberal ma molto motivata e comunque capace di dare impensierire nelle primarie, è proprio quella di dire che su diseguaglianze e finanza sia necessario fare molto di più. L’altro problema sono i vecchi legami con Wall Street che la senatrice di New York ed ex first lady dell’uomo che ha cambiato in peggio le regole per le banche ha sempre mantenuto. E sui quali Sanders gioca, come si nota da questo tweet contenente un’infografica che mostra quanti contributi alla campagna di Hillary giungano dal mondo della finanza (mentre lui li prende dai sindacati).

Oppure: il candidato della sinistra presenta il suo piano per introdurre una sanità pubblica per tutti e la ex Segretario di Stato risponde difendendo la riforma Obama, sostenendo che con il piano Sanders aumenterebbero le tasse per tutti – non solo per i ricchi – e si riaprirebbe nel Paese un dibattito furioso, simile a quello che si aprì durante l’approvazione di Obamacare. Un dibattito così non fa bene al Paese, che ha bisogno di essere meno diviso di quanto non sia oggi.

Il dibattito ha presentato due buoni candidati (il terzo, Martin O’Malley non è male, ma non ha speranze), capaci a ribattere quando incalzati e ben preparati sulle politiche che propongono. Su questo Hillary è imbattibile. Eppure, il vincitore della serata è Sanders. Non perché abbia fatto meglio, ma perché nelle ultime settimane a crescere nei sondaggi è lui e, di conseguenza, era Clinton ad avere bisogno di una performance speciale. Non è andata così e probabilmente questo dibattito non cambierà la dinamica: nei primi quattro Stati nei quali si vota, i due sono alla pari in Iowa, Sanders è primo in New Hampshire e Clinton in South Carolina e Nevada, dove il voto di neri e ispanici pesa molto di più.

Certo è che, come ha ammesso qualcuno nello staff di Hillary, che la candidata favorita per la nomination ha senza dubbio sottovalutato la forza potenziale di Sanders. Per contenerla Hillary si è spostata a sinistra, ha difeso con forza le politiche di Obama ed ha tentato di distanziarsi un pochino sulla politica estera. Sull’Iran ha detto che l’accordo è ottimo ma che «dopo una buona giornata, ne servono altre prima che torniamo ad avere dei buoni rapporti con il regime di Teheran». La scommessa è sul fatto che i timori per il terrorismo e le guerre facciano scommettere gli americani su un leader affidabile e molto esperto in materia di sicurezza nazionale.

Il fatto che Hillary difenda Obama non era scontato, si capisce sempre di più che la sua scommessa è raccogliere di nuovo la coalizione fatta di minoranze, donne e giovani che ha portato a vincere il presidente afroamericano. Per fare questo deve battere Sanders, ma senza inimicarsi la sua base di sinistra e studenti. E’ anche per questo che i due, lo avevano detto fin dall’inizio della campagna, non trascendono nei toni, ciascuno deve cercare di battere l’altro, senza rendersi antipatico agli occhi dei suoi sostenitori. Il tallone di Achille di Hillary è che accostandosi troppo al presidente in carica non accontenta quegli elettori non entusiasti che chiedono un cambiamento a Washington – sono tanti, anche in America la stanchezza con il business as usual è forte ed ha prodotto la rivolta Obama, quella del Tea Party e ora Trump nelle primarie repubblicane.

A due settimane dal voto, ora pesa la macchina sul territorio: 8 anni fa Hillary venne battuta da Obama proprio grazie a quella. Oggi la campagna Sanders ha dalla sua un entusiasmo simile a quello che contraddistinse la cavalcata vincente dell’attuale presidente. Ma è difficile pensare che, dopo essere rimasta scottata una volta, Hillary non abbia preso delle contromisure.

@minomazz