L'ambasciatore americano a Tel Aviv critica la politica degli insediamenti, condanna i due pesi nella giustizia israeliana e si chiede se davvero Netanyahu persegua la politica dei due Stati. Da Bruxelles una risoluzione dei ministri degli Esteri ricorda che gli accordi con Israele valgono solo dentro ai confini pre-1967

Due reprimende in poche ore e relazioni che, nonostante l’amicizia e l’alleanza politico-militare, restano meno che tiepide. L’Europa e gli Stati Uniti hanno mandato messaggi molto simili a Israele. L’ambasciatore di Washington in Israele ha criticato duramente le politiche di insediamento in Cisgiordania di Israele, una critica che è raro sentire con questi toni da parte di un esponente tanto importante della diplomazia americana.

Parlando alla conferenza annuale dell’Istituto per gli studi sulla sicurezza nazionale, Daniel Shapiro ha detto che Washington è «preoccupata e perplessa» per la politica di continua espansione degli insediamenti, politica che fa emergere molti dubbi sulle intenzioni di Israele e il suo impegno dichiarato di consentire la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Shapiro ha usato come esempio il riconoscimento di alcuni avamposti in Cisgiordania, avvenuto nonostante le promesse di Netanyahu agli Stati Uniti di non procedere.

Shapiro ha poi osservato che Israele limita lo sviluppo economico palestinese in Cisgiordania e definito inadeguata la politica repressiva nei confronti delle violenze dei coloni – l’ambasciatore lancia questa accusa nonostante la recente denuncia contro i sospetti in un incendio doloso mortale contro una famiglia palestinese. «A volte sembra che ci siano due livelli di applicazione dello Stato di diritto: uno per gli israeliani e l’altro per i palestinesi». In effetti,  Yesh Din gruppo israeliano per i diritti umani, che ha raccolto dati relativamente a più di mille inchieste aperte, ha riferito come nell’85% dei casi, le indagini sulle violenze dei coloni finiscono con un nulla di fatto. Yesh Din nota parallelamente come gli attacchi dei coloni nei confronti dei villaggi palestinesi siano raddoppiati.

Dal fronte europeo arrivano altre cattive notizie per Netanyahu: nonostante le pressioni e il lavorio diplomatico del governo israeliano su Ungheria, Repubblica Ceca, Cipro, Bulgaria e Grecia, l’Unione europea ha adottato all’unanimità una risoluzione che critica gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati. La risoluzione è stata approvata dal Consiglio degli affari esteri dopo che la Grecia, che Israele sperava ponesse il veto, ha deciso di votare la risoluzione.
La risoluzione sottolinea che gli accordi tra Europa e Israele si applicano entro i confini pre-1967, aggiungendo che «l’Ue deve inequivocabilmente ed esplicitamente indicare la loro applicabilità ai territori occupati da Israele nel 1967. Non si tratta di un boicottaggio di Israele, che l’Unione europea si oppone fermamente». La misura segue l’obbligo di etichettatura dei prodotti provenienti dagli insediamenti e prosegue: «Ricordando che gli insediamenti sono illegali secondo il diritto internazionale, costituiscono un ostacolo alla pace e minacciano di rendere impossibile la soluzione dei due Stati, l’Ue ribadisce la sua ferma opposizione alla politica e le azioni intraprese in questo contesto, come la costruzione della barriera di separazione al di là di insediamento di Israele le 1967 linee, demolizioni e confisca – tra cui i progetti finanziati dall’UE – sgomberi, trasferimenti forzati compresi di beduini, avamposti illegali e le restrizioni di movimento e di accesso. Chiede a Israele di porre fine a tutte le attività di insediamento e a smantellare gli avamposti costruiti dopo il marzo del 2001, in linea con i precedenti obblighi». L’idea di separare la politica nei confronti di Israele da quella degli insediamenti è, tra le altre cose, contenuta in uno studio dell’European Council on Foreign Relations.

Sia Europa che Stati Uniti ribadiscono con questi toni di essere stanchi delle politiche adottate di Netanyahu e alla scarsa propensione del governo di destra a perseguire la strada della diplomazia per rilanciare un processo di pace che mai come ora è in una fase di stallo. Bibi, per conto suo, ha risposto con durezza sia alle parole europee che a quelle dell’ambasciatore a Washington: «Sbagliate e inaccettabili». I rapporti tra Israele, Ue e Usa sono ai minimi termini dopo i tentativi vani di Tel Aviv di bloccare gli accordi sul nucleare iraniano entrati in vigore in questi giorni.

Le nuove pressioni sul governo Netanyahu sembrano essere un tentativo, l’ennesimo, di prendere una qualche iniziativa per rilanciare un processo di pace. La preoccupazione per la catastrofica situazione mediorientale ha fatto passare in secondo piano il conflitto tra israeliani e palestinesi. L’amministrazione Obama ci ha provato varie volte e, vista la fissazione di John Kerry con il conflitto israelo-palestinese e la volontà di lasciare in eredità qualcosa in Medio Oriente, è probabile che faccia un nuovo tentativo. Anche l’Europa ha aumentato il livello di pressione e le violenze a bassa intensità di questi mesi segnalano una tensione nella regione che cresce. Il problema della diplomazia è legato alla mancanza di interlocutori: Netanyahu non lo è e in campo palestinese non ce n’è di forti e credibili.