L'intercettazione nella quale il presidente della Regione Sicilia ascoltava l'amico medico spiegare dell'importanza di scaricare Lucia Borsellino non è mai esistita. A l'Espresso si sono sbagliati. E potrebbero chiedere scusa

Ci avevano fatto un’apertura in grande stile. C’era anche il video in appoggio di Lirio Abbate che chiedeva di gran carriera a Rosario Crocetta di dimettersi. C’era anche il piccolo “giallo” delle firme sotto l’articolo che cambiavano per uno strano mimetismo. Eppure che Rosario Crocetta avesse ascoltato l’amico (e medico) Matteo Tutino pronunciare la frase «la Borsellino va fatta fuori come suo padre» riferendosi alla Borsellino Lucia, figlia di Paolo e assessore nella giunta regionale siciliana ne erano sicuri tutti. O quasi.

Quando la Procura di Palermo confezionò tanto di comunicato stampa per dire che quella frase non risultava dai controlli fatti sulle intercettazioni gli amici de L’Espresso fecero gli offesi. Ma come. Ma certo. Ma se non ci credete ci offendete. Intanto le “grandi firme” cominciavano ad eclissarsi: Piero Messina e Maurizio Zoppi furono i giornalisti rimasti con il cerino in mano. E tutti a pensare “ora quelli de L’Espresso tirano fuori l’intercettazione e la chiudiamo qui” e invece niente. Ma l’intercettazione non ce l’abbiamo fisicamente ma l’abbiamo ascoltata. Ah. Quindi sarà da qualche parte. Forse.

Intanto il Governatore Crocetta, sempre scenograficamente iperbolico nel suo agire, raccontava di avere pensato al suicidio e anche autorevoli associazioni antimafia gridarono allo scandalo. Invece. Invece non è vero niente. Dice la Procura di Palermo, che ha appena chiuso le indagini, che quella frase non è mai esistita. E i giornalisti si beccano un processo per calunnia e pubblicazione di notizie false.

È malafede? No. L’Espresso è un settimanale che ha allevato le firme che hanno insegnato l’inchiesta in questo Paese ma oltre alla consueta cautela forse sarebbe il caso di imparare (tutta la categoria) ogni tanto a dire “scusate” o “ci siamo sbagliati”. Almeno per sanare quest’aria di sicumera che gocciola dal Governo fino a quaggiù. È un gesto rotondo e profumatissimo chiedere scusa perché garantisce l’onestà intellettuale di chi se ne prende il peso. Qualcuno che chiede scusa è sicuramente qualcuno con più esperienza rispetto ad un minuto prima. È una presa di coscienza e anche un atto di coraggio. Alleniamoci tutti. Ci farà bene.

(A proposito: forse sulla squadra a 5 femminile di Locri la ‘ndrangheta non c’entra proprio niente. Lo dicono le prime indagini. E quindi su quello forse avrò sbagliato anch’io.)