«Erdogan sta cinicamente sta utilizzando quest’alleanza raggiunta con l’Europa per procedere allo sterminio di ogni forma di dissenso e di opposizione»

«Quando si tratta di far rispettare i parametri monetari e finanziari, come è accaduto per la Grecia, gli interventi sono visibili, clamorosi e a piedi uniti, quando invece si tratta di far rispettare i diritti della libertà all’interno della comunità europea e anche con i Paesi alleati, gli interventi sono silenziosi, sottobanco e sussurrati». Giuseppe Giulietti, presidente della Fnsi, denuncia l’assenza di una politica dei governanti europei nei confronti della libertà d’informazione. Oggi Giulietti insieme ai colleghi di Articolo 21 e ai rappresentanti di Amnesty è andato a protestare davanti all’ambasciata turca a Roma. La richiesta è semplice: libertà per i giornalisti turchi incarcerati. Proprio oggi comincia il processo alla giornalista Ceyda Karan, del giornale Cumhuriyet, «un quotidiano che dà voce a tutte le opposizioni», dice Giulietti. Qual è la colpa della giornalista? Aver pubblicato la vignetta che Charlie Hebdo aveva pubblicato dopo la strage nella redazione. Questo avrebbe offeso il sentimento religioso del popolo turco.

Come riporta Articolo 21 tra i querelanti ci sono nomi eccellenti e vicini al premier Erdogan: Mustafa Varank (il suo braccio destro), Bilal Erdoğan (suo figlio), Berat Albayrak (suo genero), Sümeyye Erdoğan e Esra Albayrak (sue figlie).

Nelle carceri turche da 40 giorni inoltre, sono imprigionati sia il direttore che il caporedattore di Cumhuriyet. Can Dündar, il direttore, aveva scritto una lettera a Le Monde in cui rivolgeva «una richiesta d’aiuto dall’inferno», quello riservato alla stampa dal premier turco. Il14 gennaio La Repubblica ha pubblicato una lettera di Dundar diretta al premier Renzi (vedi sotto) in cui il giornalista ricordava i valori fondativi dell’Europa. Che in Turchia non vengono rispettati.

«Tutti i rapporti internazionali – l’ultimo è quello di Reporters sans frontières, dimostrano che la Turchia è un Paese che ha una situazione drammatica per quanto riguarda l’informazione. È uno dei Paesi dove c’è uno dei più alti numeri di giornalisti in carcere e la situazione si è particolarmente aggravata dopo le recenti elezioni. Erdogan si è sentito investito di un potere assoluto e soprattutto cinicamente sta utilizzando la necessità che ha l’Europa di un supporto nei confronti del contenimento del fenomeno migratorio», afferma Giuseppe Giulietti. «Erdogan sta cinicamente sta utilizzando quest’alleanza raggiunta con l’Europa per procedere allo sterminio di ogni forma di dissenso e di opposizione». Il premier turco si sente “sciolto” da ogni vincolo rispetto ai principi del diritto internazionale sui diritti civili.

Nel pomeriggio una delegazione di Fnsi, Articolo 21 e Amnesty andrà al Ministero degli Esteri dove ci sarà ad attenderla il sottosegretario Benedetto Dalla Vedova. «Noi andremo a dire una cosa banale: sì, comprendiamo tutte le ragioni della politica estera, delle alleanze internazionali, però questo non può portare in Turchia come in Arabia Saudita a chiudere gli occhi sulle violazioni dei diritti, a pensare che questi siano un optional. Bisogna con sapienza diplomatica pensare sia alle alleanze ma anche alla rivendicazione e al rispetto dei diritti nei trattati internazionali tra l’altro sottoscritti anche dalla Turchia», aggiunge Giulietti. E non c’è solo la Turchia, ma anche l’Arabia Saudita, salita agli onori delle cronache anche negli ultimi giorni per la vicenda del poeta palestinese Asrhaf Fayadh condannato a morte per apostasia. «Purtroppo è una marea. Non solo Reporters sans frontières ma anche Freedom House rivela che ci sono violazioni in Yemen, Iran, Cina. Un lungo elenco. Sta diventando un’abitudine la repressione del dissenso. Nel caso del poeta palestinese ospite dell’Arabia ha solo espresso le sue opinioni attraverso le sue poesie. Ci sono moltissimi giornalisti musulmani che stanno sotto regimi oppressivi».

E cosa può fare la stampa in Italia? «Bisognerebbe essere capaci di battersi per la libertà di espressione non solo dei colleghi bianchi e occidentali, ma anche quando sono di altro colore, o religione; la nostra capacità di metterci in rete con loro sarebbe un contributo importante per le loro battaglie. Mentre invece soffriamo molto quando veniamo sfiorati nelle nostre capitali soffriamo quasi zero quando si tratta del poeta palestinese».

Articolo 21 ha aderito alla campagna di Amnesty per Asrhaf Fayadh e ha raccolto centinaia di migliaia di firme. Il problema però sempre lo stesso: costringere i governi a rivedere le loro trattative e gli accordi diplomatici con i Paesi che violano i diritti umani. E anche fuori i confini europei, visto che Giulietti, racconta, ha avuto «qualche manifestazione di dissenso con dei rappresentanti della commissione europea a proposito delle posizioni che noi assumiamo sulla Polonia e l’Ungheria».

I problemi dell’informazione in Europa devono poi riguardare tutti i giornalisti, anche in Italia. «Mi dicono: ma perché ci dobbiamo occupare dei turchi, degli arabi, occupiamoci delle vertenze dei freelance italiani. Ebbene, questo è un tipico atteggiamento che porta dritto dritto alla sconfitta. Se sei in grado di far sentire che sei una grande organizzazione che si occupa della difesa dei diritti ovunque, a prescindere dal contesto, sei più forte ad affrontare anche le vertenze del tuo Paese. Non c’è una contraddizione a difendere l’ultimo precario e la dignità dei giornalisti nel mondo».

Turchia: lettera dal carcere “Non svendete la libertà in nome della lotta all’Isis”

di Can Dündar – direttore del quotidiano Cumhuriyet, detenuto nella prigione di Silivri –
Rispettabile Presidente del Consiglio Matteo Renzi, Le scrissi una lettera quando venni incarcerato a fine novembre per un articolo che avevo pubblicato come direttore del quotidiano Cumhuriyet. In quei giorni era in programma un suo incontro con il primo ministro turco sulla situazione dei rifugiati siriani. Era in corso la trattativa perché la Turchia non inviasse i rifugiati in Europa e li ospitasse sul suo territorio in cambio di un aiuto di tre miliardi di euro. Nella mia lettera la pregavo di non dimenticare i valori fondativi dell’Europa in nome dell’accordo.
Quei valori, che anche noi da anni difendiamo con determinazione, erano libertà, diritti umani e democrazia. Ideali da lungo tempo calpestati dal regime del Presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Ci auguravamo che l’avvicinamento tra l’Unione Europea e la Turchia legato alla crisi dei migranti facesse da freno a questo comportamento, ci auguravamo che avrebbe avvicinato la Turchia alla democrazia.
Lo scorso novembre, ai giornalisti presenti a Bruxelles al vertice Ue-Turchia, lei disse: “Come gli altri miei colleghi, anche io ho con me la lettera di due giornalisti turchi arrestati”. E sottolineò: “Nel dialogo con la Turchia, per l’Italia hanno grande importanza i diritti umani, la democrazia e il primato della legge”. Può immaginare quanto paradossale suoni questa dichiarazione dalla cella dove siamo stati gettati.
Se i cittadini turchi sostengono il processo di avvicinamento alla Ue è perché considerano i valori europei un’àncora per una Repubblica laica, democratica e moderna le cui fondamenta vennero gettate da Mustafa Kemal Atatürk. Siamo consapevoli che questi ideali sono così preziosi da non poter essere sacrificati in nome di un negoziato. Se oggi siamo tenuti in isolamento da oltre 40 giorni in Turchia, considerata dai media internazionali “la più grande prigione al mondo per i giornalisti”, è perché, con quella consapevolezza, ci siamo schierati contro la deriva del Paese verso un regime autoritario. Siamo in carcere perché abbiamo provato che tir dell’intelligence turca portavano armi ai gruppi jihadisti in Siria.
All’origine della crisi dei rifugiati c’è anche la guerra civile in Siria alimentata pure con l’appoggio dell’Occidente. Ora seguiamo con interesse il tentativo di placare l’incendio da parte di coloro che si sono travestiti da pompieri dopo averlo appiccato. Purtroppo, dato che Erdogan ha assunto il controllo di gran parte dei media, è sempre più difficile darne notizia. Chi ha il coraggio di farlo è vittima di attacchi, aggressioni, minacce, processi e carcere.
Anche se gli interessi attuali dell’Europa rendono necessario ignorare temporaneamente le violazioni dei diritti umani, noi continueremo a chiedere il loro rispetto a qualsiasi prezzo. Se rinunciamo all’umanità davanti alla scelta “rifugiati o libertà”, perderemo infatti tutti e tre quei valori. Can Dundar
(pubblicato da La Repubblica il 14 gennaio 2016)

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.