Rifugiati di successo fotografati e affissi per le strade per raccontare storie di normalità venute fuori dalla fuga dalla guerra. Anche in Australia i rifugiati sono vittime dei respingimenti in mare

«Io sono arrivato su una barca». Un messaggio chiaro e diretto rivolto agli australiani, che anche dalle loro parti la retorica anti-rifugiato ha fatto molti adepti ed aperto molte ferite. I came by boat è una campagna lanciata lo scorso novembre che cerca di spiegare nel modo più semplice possibile come mai i rifugiati e gli immigrati non sono un pericolo. Specie in un Paese che, aborigeni esclusi, è fatto esclusivamente da persone i cui antenati sono arrivati in barca.

Negli anni appena passati è capitato in più di un’occasione che navi e barche piene di rifugiati venissero respinte in mare dalla marina australiana o venissero spedite in Malesia e Indonesia. Anche nel lungo tratto di mare che separa alcune isole australiane dall’Indonesia sono morti in tanti.

La campagna è semplice, come spiega la promotrice Blanka Dudas nel video qui sotto, si fotografano persone che sono davvero arrivate in barca, come rifugiati, e che sono arrivati al successo o alla normalità: un chirurgo ortopedico iracheno, una dentista di origine vietnamita e una afghana che lavora nelle associazioni di advocacy per rifugiati. Tre storie diverse, come quella di Blank Dudas, rifugiata bosniaca, e art-director che ha ideato la campagna. Storie eroiche e normali di persone che hanno rischiato la vita per fuggire da guerra o persecuzione politica e che si sono integrate nel migliore dei modi. Il gruppo promotore della campagna, oltre a fare advocacy fa anche formazione a immigrati e rifugiati e in queste settimane ha raccolto i fondi per produrre altri manifesti (una quindicina di persone diverse) e comprare gli spazi pubblicitari dove affiggerli in tutta l’Australia. Una bella idea per un problema serio. In Europa e anche in Australia.