Il Parto delle nuvole pesanti torno con un nuovo singolo per denunciare il silenzio sul disastro ambientale. L'incontro musicale del martedì, questa settimana è con Salvatore De Siena

«Quando le nuvole sono pesanti, vuol dire che sono piene e devono buttar giù qualcosa». Quasi si spazientisce a spiegarlo per l’ennesima volta Salvatore De Siena, che insieme ad Amerigo Sirianni, Emanuela Timpano, Enzo Ziparo (e altri ancora) è il Parto delle nuvole pesanti: «Il nostro nome indica l’urgenza della creatività che non vuole sottostare ai limiti e vincoli del mercato». Per questo nuovo video hanno scelto il singolo “La nave dei veleni”- tratto dall’album Che aria tira (Ala Bianca/Warner, 2013) – , in cui raccontano il disastro ambientale, l’ecomafia, la Calabria e l’umanità introvabile nell’uomo contemporaneo. Con un’ironia pungente che alleggerisce l’ascolto senza sminuire il tema.

Nel 2001 abbiamo scoperto che 637 navi sono scomparse in mare con il loro carico di rifiuti tossici e radioattivi, 52 solo nel Mediterraneo. E Legambiente dice che sono 88 le “navi dei veleni” che giacciono nei nostri fondali. Perché avete scelto di puntare su questo tema e su questo singolo?

“La nave dei veleni” è abbastanza centrale nel nostro progetto, perché è anche diventata la colonna sonora del movimento “Crotone ci mette la faccia”, nato per denunciare i troppi casi di tumore in città. E questo album è profondamente legato al nostro progetto “Terre di musica”, un viaggio tra i beni confiscati alla mafia (se volete saperne di più, potete cliccare sul titolo).

Ispirato al libro Navi a perdere di Carlo Lucarelli, il brano prende spunto da un fatto di cronaca: il ritrovamento, sulla spiaggia di Cetraro (Cs), del relitto noto come “nave dei veleni”. Il videoclip, diretto da Angelo Resta, è scritto dallo stesso Resta insieme a De Siena.

Alla fine nel videoclip affondate voi, gli strumenti, i santini dei mafiosi, tutto. Poi brucia la nave e tutto prende fuoco, anche il mare… E voi cantate «la nave dei veleni non è una fantasia, ti prego amore mio prendi i figli e andiamo via». È rassegnazione?

Sai che la moglie di Natale De Grazia (il capitano di corvetta morto in circostanze misteriose il 12 dicembre 1995, ndr), dopo aver visto il video mi ha fatto la stessa domanda? Perché, ha detto, tante volte con il marito ha sentito questo sconforto e si dicevano che volevano andar via. Devo dire che ha colpito anche me quando l’ho scritta. Ma ho voluto questo concetto nella canzone, perché rappresenta il momento dello sconforto, e non della rassegnazione. È un momento emozionale, una sorta di cruna dell’ago dalla quale devi passare se vivi qui, devi toccare il fondo per svegliarti. Ma sia chiaro: è una provocazione. È evidente che in quello che facciamo con il Parto non c’è traccia di rassegnazione o fuga.

Infatti suonava strano! Insomma, il Parto delle nuvole pesanti rappresenta chi ci torna in Calabria, non chi scappa. 

Esattamente. Ce ne siamo andati da ragazzi, per studiare ma anche per scoprire e prendere coscienza. Sai, ad abitarci qui finisce che non vedi più niente, i colori si uniformano e andando via la distanza e il tempo ti restituiscono anche la bellezza che invece si era assopita e nascosta. Questo passaggio per noi è stato molto importante. È questo che cerchiamo di dire quando parliamo di emigrazione…

Via quella coltre da emigrati disperati, quindi?

Certo, quasi tutti partiamo per necessità. Ma anche queste partenze  sono occasioni di scoperta e di nuove relazioni. L’“andare” lo renderei obbligatorio, renderei obbligatorio il viaggio: uno deve andar via dal suo luogo, per capire che posto è senza di lui.

Il video di “Onda calabra”, diretto da Giuseppe Gagliardi, è la colonna sonora del film Qualunquemente di Antonio Albanese

L’ambiente, l’emigrazione, l’umanità. La “militanza” ha assunto un’accezione negativa negli ultimi tempi… Non temete di essere fuori moda?

Ti ringrazio per l’eufemismo “fuori moda” (ride), ma è molto peggio di così. È quasi come avere la lebbra, come essere qualcosa di vecchio, disperato o comunque di negativo, perché non hai quelle caratteristiche moderne che vogliono non dico il disimpegno, ma quantomeno un impegno che non faccia male a nessuno, che resti in superficie. Tacitamente, è questo l’accordo sociale. Tanto che un giorno un giornalista me l’ha proprio chiesto: “Ha senso ancora fare musica con queste motivazioni e finalità sociali?”.

Tu che gli hai risposto?

Gli ho detto: “Scusa ma la stessa domanda la vorrei fare al contrario: ha senso fare musica senza una motivazione sociale?”. Penso all’autenticità del mio percorso e della mia interiorità, e spero che ogni artista faccia questo. Qualunque artista – tranne gli irrecuperabili – a un certo punto si chiede che senso abbia quello che sta facendo. La musica tende sempre al messaggio, anche nelle sue forme espressive più leggere. È difficile che non dica niente, contiene sempre un’emozione. Perciò, sì, militanza può essere un termine desueto se si riferisce al fanatismo o all’adesione cieca a qualcosa, ma inteso come difesa e comunicazione dei propri ideali e delle proprie emozioni, no. Anzi, è una parola bellissima.

Il videoclip del brano “Fuori la mafia dentro la Musica”, diretto Salvatore De Siena, è la colonna sonora del film-documentario Terre di Musica-viaggio tra i beni confiscati alla mafia. Il coro dei bambini che appare nel video è diretto da Gabriella Corsaro

Veniamo alla musica. Evocate il rebetiko, sembrate in cerca di qualcos’altro, ma alla fine il vostro sound resta in modo inconfondibile.

La dimensione vuole essere onirica e ci sono molte influenze turche e greche. Nel live accentuiamo molto l’influenza greca, è diventata una sorta di zorba tarantellata (Salvatore ci canta al telefono il ritmo greco che si intreccia con quello della tarantella, ndr).

Ci sono sicuramente più tensioni musicali, negli ultimi dischi soprattutto dalla Magna Grecia. Quest’ultimo lavoro, poi, è stato molto influenzato non proprio dall’elettronica, ma da giochini elettronici… ci siamo molto divertiti. Però sì, sotto questo gioco, rimane sempre una struttura portante che è quella del ritmo mediterraneo.

Siete sempre pieni di sorprese e progetti. Cos’altro state combinando in questo momento?

Una versione inedita di Bella Ciao, che è quasi una tarantella. Siamo intervenuti solo sulla musica, il testo è sempre perfetto. La dedichiamo ai partigiani di oggi, che sono quelli capaci di difendere la bellezza.

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