E così, quella che ancora oggi viene spacciata come la famiglia “naturale”, quella sancita dal sacro vincolo del matrimonio nata nel Medioevo e benedetta ancora oggi dal papa, è forse quanto di più innaturale esista: un contratto commerciale trasformato in un “sacro contratto” a vita, che prevede l’amministrazione matrimoniale maschile e la messa “in tutela” del genere femminile

Cos’è il matrimonio? Quello «unico, indissolubile e procreativo» che per la Chiesa di Roma farebbe “naturale” la famiglia? Per secoli, nell’antichità, si trattava di complicati accordi tra famiglie, spesso avversarie. Veri e propri “negoziati di nozze”, in tutto simili alla stipula di un contratto, nelle quali la donna, spesso bambina, era merce trasferita da un nucleo all’altro, una “derrata” trattata su un mercato matrimoniale. A questa consuetudo secolare la Chiesa cattolica applicò, come fosse un ricamo sovrapposto, l’idea di un rapporto “monogamico” creato da Dio e indissolubile, fondato su valori teologico-ecclesiastici neanche troppo sofisticati, del tipo: «Unitevi nel timore di Cristo, le mogli obbediscano ai mariti come al Signore» (Efesini 5, 31 ) o «Sarai sotto il potere del marito, ed egli ti dominerà» (Genesi III, 16 ). È poi col IV Concilio lateranense (a. 1215 ) che la Chiesa perfezionò il suo “piano regolatore”: impose l’uso delle pubblicazioni (per evitare i matrimoni clandestini); stabilì che il matrimonio è un sacramento; ratificò la sua indissolubilità anche agli effetti civili, salvo per morte di uno dei due coniugi; e richiese il consensus libero e pubblico degli sposi, da dichiarare a viva voce in un luogo aperto (ufficialmente per scongiurare ratti e unioni combinate).
Un matrimonio a vita quindi, basato sul consensus. Purtroppo “il ricamo” del matrimonio consensuale non cambiò mai i rapporti di forza sociali esistenti. E neanche tentò di farlo. La dottrina morale della Chiesa continuò a considerare buono il matrimonio in cui il marito “regnava” e la moglie “obbediva” incondizionatamente. Il matrimonio e la famiglia erano cornice obbligata dell’esistenza femminile. Le donne sposate venivano poste sotto la tutela dell’“amministrazione matrimoniale” del marito. E dietro al velo pesante di questa tutela esercitata da padri, mariti e poi confessori si nascondeva un controllo feroce e, a quel punto, indispensabile. Perché in realtà il matrimonio doveva arginare la libido per garantire la nascita di figli legittimi, che voleva dire “eredi” legittimi.
Per la Chiesa, il corpo femminile doveva essere controllato in modo particolare, doveva essere riservato esclusivamente alla fecondazione da parte del marito. Così la dottrina matrimoniale impose l’inseparabilità delle unioni matrimoniali, in nome di un amore coniugale (dilectio o caritas) dichiarato “ufficialmente” fondamento del matrimonio cristiano. Ma è tristemente evidente, anche dall’affannata ricerca di una definizione precisa di questo sentimento (che non trovano mai!), quanto fosse poco spontaneo il nesso tra amore e matrimonio.
La mancanza di amore infatti non era riconosciuta da chierici, confessori e giuristi, motivo sufficiente per mettere fine ad un matrimonio. E d’altra parte la presenza di amore non era riconosciuto dagli stessi, motivo sufficiente per celebrare un matrimonio. Non va mai dimenticato che per la Chiesa cattolica, sulle orme di Paolo di Tarso, il matrimonio era l’unica soluzione per quelli che non potevano raggiungere il “livello superiore” rappresentato dalla verginità o dalla continenza, uomini o donne che fossero! L’“amore coniugale” si fondò invece su quella strana idea di giustizia che non poteva che adeguarsi al diverso grado di virtù attribuita ai coniugi, «se il marito è amato di più è perché è dotato di una maggior razionalità, e quindi più virtuoso, mentre la moglie, naturalmente inferiore, deve ricevere una quantità d’amore inferiore, adeguata alla sua natura». Così recita ancora Tommaso d’Aquino: «Il marito ama più della moglie e ama di un amore più nobile, dal momento che il marito sta alla moglie come il superiore all’inferiore, come il perfetto all’imperfetto, come chi da e chi riceve, come il benefattore e il benefatto, il marito da alla moglie la prole e lei la riceve da lui» (Summa theologiae, a. 1265-1274). La donna deve essere oggetto dell’amore del marito, ma responsabile. Deve evitare che il marito si perda nella libidine e insieme non deve farsi amare troppo per non suscitare quella medesima libidine. E cosa rimaneva alle giovani donne, oziose e vagabonde “per loro stessa natura”(!), che volevano sottrarsi al pugno di ferro dei progetti matrimoniali? Nulla, per secoli. Se non se stesse e la fuga. Spesso senza lieto fine. Un esempio per tutte, forse il più noto, è Chiara d’Assisi fuggita di soppiatto, nella nebbia di una notte, per sottrarsi alle minacce e alle percosse del proprio genitore. E finita in convento. E così, quella che ancora oggi viene spacciata come la famiglia “naturale”, quella sancita dal sacro vincolo del matrimonio nata nel Medioevo e benedetta ancora oggi dal papa, è forse quanto di più innaturale esista: un contratto commerciale trasformato in un “sacro contratto” a vita, che prevede l’amministrazione matrimoniale maschile e la messa “in tutela” del genere femminile.

(Questo articolo è comparso sul numero 49/2014 di Left)