Melita Cavallo, per 40 anni giudice minorile, nel 2014 ha scritto una sentenza di adozione per una coppia lesbica: «Mi interessa che ci sia affetto ed empatia. Quante violenze ho visto nelle famiglie tradizionali!»

«Che fastidio ti dà che due donne vivano insieme e abbiano un bambino? Non riesco a capire!», dice Melita Cavallo giudice dei minori .
Forse vivono quella famiglia come una minaccia…
Una minaccia a cosa? Penso che queste persone abbiano pregiudizi e condizionamenti così fortemente radicati che non riescono a vedere quanto il mondo stia cambiando.
Al Tribunale per i minorenni arrivano domande di donne che hanno deciso di uscire allo scoperto, di dire che vivono insieme e che la compagna vuole adottare il figlio dell’altra. Ma non penso che il fenomeno dell’adozione a opera di una coppia omosessuale non esistesse anche negli anni passati. Ricordo un caso tanti anni fa. Un medico curava un bambino in ospedale e passava molto tempo con lui. Il piccolo gli si era affezionato. Spesso il medico si presentava con un altro medico: la situazione insomma era chiara, Un giorno la mamma ha dato il consenso all’adozione. Sapeva e ha dato il consenso.
Come mai il Tribunale ha concesso l’adozione?
Per l’interesse del bambino. Era legato a quell’uomo e lo chiamava papà, aveva 9-10 anni e diceva che voleva stare con papà e anche con l’amico di papà.
Quasi una maternità surrogata, oggi pietra dello scandalo?
Non mi sconvolge l’idea. Sono cattolica, mi sforzo di essere osservante, però, mi chiedo, per quale ragione, se posso dare il mio rene ad un’amica che ne ha bisogno, non posso invece usare il mio utero per mettere al mondo un bambino di un’amica o di un amico? Non capisco perché ci si possa privare di una parte del corpo ma non se ne possa utilizzarne un’altra. Se una donna si offre di portare un bambino in grembo sa bene che non è suo, si tratta solo di chiarire tutto prima.
Lei ha scritto la sentenza dell’agosto 2014 con la quale il Tribunale di Roma ha concesso la possibilità di adottare a una coppia di donne omosessuali.
Sì, in base alla legge 184 del 1983 art. 44 lettera d, “casi particolari”. È passato un anno e mezzo ma la Corte d’appello ha confermato la sentenza del Tribunale. Adesso andrà in Cassazione perché il procuratore generale la impugnerà, ma credo che la Cassazione confermerà. Quindi oggi è già possibile adottare, la norma c’è. A Roma abbiamo già chiuso quindici casi. Ma ci sono tribunali che non lo fanno e quindi è giusto che arrivi una legge.
Il Tribunale per i minorenni più avanti del Parlamento?
Non è utile generalizzare, però in genere sì… Il giudice minorile è in rapporto diretto con le famiglie, ascolta i bambini e parla continuamente con loro. Ci si rende conto dei diritti che premono ma che non sono ancora riconosciuti. Il giudice minorile, proprio perché è a contatto con la realtà che cambia, vede spesso prima del legislatore. […]


 

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CHI È

Melita Cavallo è stata presidente del Tribunale per i minorenni di Roma fino a dicembre 2015. In precedenza ha lavorato come magistrato nel settore famiglia a Napoli e a Milano. È stata presidente della Commissione per le adozioni internazionali e capo del Dipartimento per la giustizia minorile. Ha appena pubblicato per Laterza il libro Si fa presto a dire famiglia in cui racconta quidici storie vere di minori e delle loro famiglie. Tutte molto diverse: tradizionali, ricomposte, omosessuali, monogenitoriali. Dai racconti traspare una grande sensibilità verso quello che Melita definisce l’«interesse superiore del bambino». Il magistrato indica anche proposte, come quella di puntare sull’affido familiare.

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