Presto sulla Gazzetta ufficiale verranno pubblicati i bandi relativi al concorso per scuola primaria e d'infanzia, medie e superiori e sostegno. Si calcola che dovrebbero partecipare circa 200mila candidati per 63.712 assunzioni nel triennio 2016/18. Ma le regole con le quali il Ministero ha pensato il nuovo Concorsone hanno suscitato non poche critiche

«Semplificare, adeguare, innovare». Così il ministro Giannini ha presentato il concorso che a settembre dovrebbe stabilizzare 63.712 professori, durante la conferenza stampa del 22 gennaio. Semplificare, adeguare, innovare, dunque. Ma “semplificare” quando si parla di scuola non è così semplice. Soprattutto quando, seguendo la scia della Buona scuola, si cerca solo di mettere una pezza ai numerosi vuoti creati dal diluvio di norme e provvedimenti che hanno segnato gli ultimi vent’anni di politiche scolastiche. E che hanno prodotto centinaia di migliaia di insegnanti precari. Oltre ad una sentenza di condanna da parte della Corte Europea perché l’Italia, ricordiamo, ha assunto per troppi anni insegnanti a tempo determinato. Tra poche ore, forse il 1 febbraio o al più venerdì 5 febbraio, sulla Gazzetta ufficiale verranno pubblicati i bandi relativi al concorso per scuola primaria e d’infanzia, medie e superiori e sostegno. E a proposito di semplificare e adeguare, le classi di concorso sono state ridotte, passando da 168 a 116 con l’introduzione di nuove come l’importante Lingua per alunni stranieri.
Al concorso, che si dovrebbe tenere in primavera, si calcola che dovrebbero partecipare circa 200mila candidati. Le 63.712 assunzioni nel triennio 2016/18 sono così suddivise: 52.828 su posti comuni, 5.766 per il sostegno e 5.118 per posti di potenziamento.
Ma le regole con le quali il Ministero ha pensato il nuovo Concorsone hanno suscitato non poche critiche.
Una prova per esempio è il documento del Cspi (qui), cioè il Consiglio superiore della pubblica istruzione, un organismo che si è insediato a metà gennaio e che è costituito da 36 membri, di cui 15 di nomina ministeriale (avvenuta appunto pochi giorni fa). Il Cspi deve dare un parere su tutto ciò che riguarda la politica scolastica di Viale Trastevere. Parere obbligatorio ma non vincolante, naturalmente. Il documento che il Cspi ha prodotto a proposito dei decreti ministeriali sulle regole e i contenuti del bando del futuro concorso è piuttosto critico.

Quali sono i punti che non piacciono al Cspi?
Alunni con Dsa. Il ministero non ha fatto riferimento a tutta quella normativa che riguarda gli alunni con disturbi dell’apprendimento (Dsa). «Affermazione troppo semplicistica e non al passo con la normativa nazionale e internazionale», scrivono gli esperti del Cspi, quella relativa alla didattica personalizzata.
Troppi aspetti nozionistici. Questo forse è l’aspetto più critico messo in evidenza e che riguarda la sostanza della didattica. Nelle prove, si legge nel documento del Cspi, prevale l’aspetto nozionistico rispetto a quello delle competenze didattiche, relazionali e metodologiche richieste a un docente. Cioè tu puoi sapere tutto, nei minimi particolari, ma se non sai insegnare, è davvero inutile. Il documento fa notare, poi, un fatto lapalalissiano: il concorso (che si divide per scuola primaria e d’infanzia, medie e superiori e sostegno) è riservato a insegnanti già abilitati (con Tfa o Pas) che insegnano già da anni. Quindi è inutile insistere sui contenuti delle discipline.
Le prove in lingua straniera. Qui il Cspi suggerisce di ridurre a una prova (delle due previste) in una lingua straniera di livello B2 e di puntare soprattutto sulla comprensione del testo. Questo punto naturalmente ha già fatto storcere il naso a quanti predicano la modernizzazione a tutti i costi anche attraverso la lingua, per carità, importantissima, ma non risolutiva di tutti i guai della scuola italiana. Eugenio Bruno su Il Sole 24 ore del 30 gennaio ha parlato infatti di “forte chiusura” da parte del mondo docente.
Un altro dei punti contestati è la valutazione del servizio che serve per i titoli con cui ci si presenta al concorso. Nel documento Cspi si definisce «sperequato il punteggio» per ogni anno di servizio (0,5) a fronte del punteggio molto più alto riservato ai titoli di abilitazione (cinque punti).

Il concorso è riservato a docenti tutti abilitati e qui sta la nota dolente.

Lo racconta bene Giuseppe Bagni, presidente nazionale del Cidi (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti) e membro del Cspi. «A Firenze ho avuto un incontro con i docenti, tutti abilitati Tfa e Pas, vedevi in faccia la disperazione. Persone che hanno figli, che si sentono umiliate, di nuovo a essere reinterrogati su contenuti della propria laurea, quando già hai fatto l’abilitazione nel 2012». Per prepararsi ci sono insegnanti che andranno in aspettativa, lamentando il poco tempo a disposizione, anche per la presenza di materie nelle classi di concorso accorpate che non rientrano nella propria disciplina su cui uno si è laureato.
Infine, le regole per partecipare al Concorsone contengono contraddizioni, come sottolinea l’interrogazione con prima firmataria la senatrice Alessia Petraglia (Gruppo Misto Si) che chiede al ministro di «trovare prima una soluzione definitiva, come un concorso riservato per soli titoli che agisca in modo pluriennale per tutti coloro che sono abilitati e insegnano da anni nella scuola statale, in quanto lo svolgimento del concorso nei tempi previsti risulterebbe, infatti, discriminante per coloro che siano in possesso dei requisiti per la stabilizzazione, così come stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea».

E, dulcis in fundo, forti critiche vengono dai sindacati. La Flc Cgil fa notare come questo concorso «verrebbe bandito nel caos più totale e in assenza di tutele per coloro in possesso di abilitazione e del servizio che possono vantare il diritto alla stabilizzazione, compresi i docenti delle scuole d’infanzia delle Gae, illegittimamente estromessi dal piano nazionale delle assunzioni». Insomma, anche questo concorso non sana il precariato.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.