Dopo mesi si discussione, le assemblee nel piccolo Stato rurale aprono le primarie Usa. Cosa è in gioco, i numeri e perché l'Iowa pesa decisamente troppo

Finalmente si vota in Iowa. Dopo mesi di dibattiti Tv, milioni di sondaggi, bombardamento di spot su internet, audizioni di Clinton in Congresso sugli attacchi a Bengazi e previsioni sbagliate che dicevano che l’effetto Donald Trump non avrebbe passato l’inverno, da domani avremo dei numeri. I partecipanti ai caucus dell’Iowa – le decine di assemblee grandi e piccole che eleggono delegati alla convention – decideranno chi sono i loro nominati. E contribuiranno a indirizzare il corso delle primarie repubblicana e democratica per la presidenza degli Stati Uniti. Hillary Clinton e il socialdemocratico senatore del Vermont Bernie Sanders (il terzo, Martin O’Malley è lontano chilometri) corrono per il campo democratico. La storia recente del partito, una donna, l’esperienza e la passione per il potere, contro un outsider di sinistra, esperto e corretto, e capace di generare entusiasmi che Hillary non riesce proprio a suscitare. Hillary ha incassato il sostegno del New York Times e Sanders quello di MoveOn, che mobilita, manda mail e raccoglie fondi, contribuendo ad alimentare la campagna dal basso (stamane nella casella di posta la mail firmata Susan Sarandon).

Una gamma piuttosto ampia di concorrenti per i repubblicani. Tutti piuttosto di destra e tutti alla disperata ricerca di una formula per fermare Donald Trump. Per ora nessuno ci è riuscito, il voto dell’Iowa – e quello del New Hampshire tra una settimana – ci diranno chi rimarrà in piedi. Quasi certamente occorrerà aspettare almeno un mese per vedere rimanere solo due, tre candidati: Trump, Cruz, Rubio, Kasich, Christie e Jeb Bush non molleranno la presa facilmente.

Veniamo ai numeri:

In campo democratico i punti percentuali di distacco tra Clinton (47%) e Sanders (44%) sono 3. Mai così pochi da quando la corsa è cominciata un anno fa. Se Sanders vincesse sarebbe un guaio per Clinton, il resto non sarebbe una sorpresa. Più margine per Clinton, più serenità di andare a perdere in New Hampshire tra otto giorni.

Tra i repubblicani Trump (30-32%) è avanti di 6-8 punti sul texano Cruz, il campione dei conservatori religiosi, che sopravanza a sua volta Marco Rubio al 13,9%. Poi Ben Carson, il chirurgo afroamericano e religioso. Spiccioli per i moderati.

«Non c’è da stupirsi, tendenzialmente in Iowa l’elettorato repubblicano esprime candidati conservatori, alla destra del partito, i democratici votano più spesso per candidati di centro – ci racconta John Norris, che ha diretto la campagna di John Kerry nello Stato nel 2004 e, più lontano nel tempo, quella di Jesse Jackson – Più religiosi e provenienti da territori agricoli, i repubblicani, molti studenti, più nelle zone dell’est i democratici. Il fatto che in questo ciclo elettorale Sanders sia così forte, segnala però che anche in campo democratico c’è una certa insoddisfazione su come vanno le cose a Washington. Nel 2008 questo sentimento si era già espresso con il voto a Obama».

Dal 1976 a oggi in Iowa hano vinto tre candidati repubblicani che poi sono stati nominati dal partito e uno che è diventato presidente. Per i democratici i nominati sono sei e i presidenti due. In New Hampshire cinque repubblicani nominati e due presidenti, mentre per i repubblicani lo stesso rapporto è 5 a 1. Su dieci primarie, insomma, i due Stati hanno dato la linea in metà delle tornate – meno in realtà, che il presidente uscente non è mai stato sfidato e quindi in alcuni anni un partito o l’altro non hanno tenuto primarie. I primi due Stati non sono determinanti, quindi, ma molto importanti. Specie se li paragoniamo al loro perso reale, alla corrispondenza tra il loro tessuto sociale e demografico con il resto del Paese – e degli elettorati.

L’Iowa e il New Hampshire contano troppo

Nel 2008 e nel 2012 le primarie repubblicane sono state vinte da candidati deboli e improbabili (Huckabee e Santorum), allungando il processo di scelta del nominato di mesi. Nel 1976 Carter arrivò secondo, al primo posto c’era “nessuno dei candidati in corsa”, e così il futuro presidente balzò all’attenzione nazionale grazie al fatto di essere finito sul podio. Il fatto che a segnare il cammino delle primarie siano due Stati con caratteristiche peculiari è una falla del sistema democratico Usa.

Prendiamo l’Iowa: secondo l’ultimo censimento la popolazione bianca è pari al 92%, gli appartenenti alle minoranze sono l’11,2% (una parte degli ispanici è anche bianca) contro circa il 35% della media nazionale. L’Hawkeye State (il soprannome dell’Iowa) anche il quarto più vecchio dell’Unione. Il New Hampshire è ancora più bianco e forse più vecchio.

Assieme fanno poco più dell’1% della popolazione totale americana. Ma i democratici, quando vincono, lo fanno grazie al voto delle minoranze e dei giovani, le assemblee in Iowa e le primarie nel Granite State, non sono uno specchio dell’elettorato che voterà per Clinton o Sanders.

Un discorso simile vale per i repubblicani: quasi il 60% di chi partecipa ai caucus in Iowa è evangelico, mentre nel 2012 il totale degli elettori americani era evangelico al 23%. Infine, chi partecipa alle assemblee dell’Iowa è un sesto degli aventi diritto. Che vuol dire? Che qualche migliaio di elettori di uno Stato coperto di campi di ghiaccio conta molto più dei californiani, dei texani o dei newyorchesi nel determinare chi sarà la persona più potente del mondo.

Comunque vada domani si comincia e con lui avremo ancora a che fare per qualche tempo

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