Il senatore del Texas vince grazie alla capacità di stringere alleanze locali. Il socialista del Vermont mostra di essere un candidato destinato a durare. Clinton tira un sospiro di sollievo. E Marco Rubio, giovane senatore della Florida, diventa il cavallo su cui puntare per l'establishment repubblicano

Strana la politica. Quella americana più delle altre, con i suoi riti improbabili e poco comprensibili, non smette di regalare sorprese. Quella dell’Iowa doveva essere la notte di Donald, super-miliardario imbattibile, e invece è stata la notte di Ted Cruz, il senatore texano che non si toglie gli stivali nemmeno per andare a dormire, vuole cancellare ogni legge voluta da Obama e mobilita l’elettorato evangelico. E poi è stata la notte di Bernie Sanders e Hillary Clinton. Il primo è arrivato dove nessuno pensava sarebbe arrivato quando ha lanciato la sua campagna un anno fa e raccoglie entusiasmi per le prossime tappe, la seconda può tornare a respirare: una sconfitta o una cattiva performance sarebbero state un disastro. Infine è stata la notte di Marco Rubio, che a sorpresa è arrivato terzo poco lontano da Donald Trump.

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I risultati finali:1oBqYR16-1

Democratici: Hillary Clinton 49,9%, Bernie Sanders 49,6%, Martin M’Malley 0,6%

Repubblicani: Ted Cruz 27,7%, Donald trump 24,3%, Marco Rubio 23,1%, Ben Carson 9,3%, Rand Paul 4,5%, Altri 11%

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Cosa è successo? Che le previsioni e i sondaggi si sono infranti contro le regole dei caucus dell’Iowa. Tutti dicevano che l’alta partecipazione avrebbe favorito Trump, perché avrebbe significato che a scegliere c’erano persone non abituate a partecipare al processo delle assemblee nelle quali ci si schiera pubblicamente con un candidato. Quelle persone avrebbero votato per l’outsider. Non è andata così. La macchina elettorale sul campo, il porta a porta, la capacità organizzativa e quella di costruire alleanze locali hanno avuto la meglio. E così, in campo repubblicano, Ted Cruz, che è il meglio posizionato per farlo, ha costruito una coalizione di evangelici, li ha portati in massa alle urne e ha vinto. Più elettori non si è tradotto in più voti per Trump.

«Non c’è da stupirsi, gli evangelici rappresentano la fetta più importante dell’elettorato repubblicano in Iowa, non a caso nelle ultime due tornate hanno vinto quei candidati che, in forme diverse, li rappresentavano: il conservatore religioso Santorum e l’ex pastore conservatore ma caritatevole, Huckabee. Certo l’elettorato così c’è qui, ma non altrove, è difficile capire cosa succederà nel Grand Old Party da domani» ci dice John Norris, navigato democratico, che ha lavorato a diverse campagne statali vincenti e poi lavorato nell’amministrazione Obama.

Un discorso simile a quello di Cruz vale per Sanders: la sua macchina elettorale ha funzionato, il momentum, come si dice in America, era dalla sua, a gennaio ha raccolto decine di migliaia di piccole donazioni, imparato meglio come si comporta un candidato ed è quasi riuscito a raggiungere la predestinata Hillary. Quanto alla ex Segretario di Stato, beh, ha quasi scacciato i fantasmi del 2008, quando da vincente annunciata arrivò terza dietro a Obama ed Edwards. Stavolta vince di un soffio, mostra di avere anche lei una macchina che funziona e la spunta nonostante fossimo in una fase nella quale il vento soffiava chiaramente dalla parte di Sanders. Ora può affrontare la sconfitta probabile in New Hampshire (martedì prossimo), dove il senatore del confinante Vermont è favorito, con leggerezza e curare le tappe successive. Sanders invece si mostra un candidato forte e destinato a durare. Probabile che vada fino alla convention, per portare i suoi argomenti dentro il partito con più forza possibile.

Il quarto a ridere è Marco Rubio, giunto terzo, come i sondaggi non prevedevano, è l’unico possibile punto di incontro tra l’establishment del partito e l’ala conservatrice. Abbastanza di destra da non essere proprio indigeribile all’ala “rivoluzionaria” del partito, abbastanza di Washington da non terrorizzare i potenti e i loro sistemi di relazione con le lobby. E poi, tra tutti quelli che corrono in campo repubblicano, è forse la figura con più possibilità di farcela contro un democratico. E’ giovane, di origini ispaniche, brillante, preparato sulle politiche. Pericoloso, insomma: contro Sanders potrebbe correre come il moderato responsabile, contro Clinton come il nuovo contro il vecchio.

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E gli altri? Martin O’Malley, il terzo candidato democratico ha preso meno dell’1% e si è ritirato stanotte. Jeb Bush aveva speso milioni in Iowa, pur sapendo quanto la sua fosse una strada in salita. Ha meno del 3% dei voti e difficilmente tornerà in ballo. Il governatore del New Jersey Christie, l’unica dona, Carly Fiorina, Santorum e Huckabee, che puntavano alla stessa base di Cruz, sono fuori. Ma difficilmente si ritireranno prima del voto nei prossimi tre Stati, molto diveri tra loro (New Hampshire bianco, South Carolina conservatrice ma anche dinamica in alcune aree, Nevada, molto ispanico). Benino sono andati Ben Carson, neurochirurgo molto conservatore e poco capace di dare risposte sulle politiche e Rand Paul, che cerca di ricostruire la base che fu del padre, quei repubblicani libertari, anti Stato, ma anarcoidi e isolazionisti, che sono un pezzo non indifferente del partito in alcuni Stati.

Quella a cui abbiamo assistito fino a oggi è stata una campagna nazionale nella quale i vincenti, quelli capaci di far parlare di sé, di occupare lo spazio mediatico e della rete sono stati Trump, Sanders e Clinton. Molti hanno scritto che l’Iowa con i suoi meccanismi antiquati di selezione del candidato era fuori fase, che Trump aveva distrutto i caucus. La sua è stata una campagna fatta di pochi incontri nei piccoli ristoranti e di grandi comizi. In Iowa non ha funzionato e ieri Trump ha fatto un discorso dicendo: «Mi avevano detto di non correre qui, ma a me l’Iowa piace. Ora andiamo in New Hampshire, dove vinciamo e poi andiamo avanti. Sono io quello capace di battere Hillary, Sanders o chiunque altro dovessero tirare fuori dal cappello». Se la sconfitta in Iowa per Trump significherà anche il ritorno della politica normale lo vedremo proprio in New Hampshire: qui il miliardario è avanti di 20 punti. Ha un buon margine per scendere e vincere lo stesso. E qui i sondaggi dovrebbero essere più affidabili, in New Hampshire ci sono le primarie, non i caucus. Mancano sette giorni e le primarie, sia democratiche che repubblicane, sono destinate a durare a lungo.