La prima donna candidata e il socialista democratico discutono su chi sia più progressista e più lontano da Wall Street? Le differenze ci sono, ma i toni non sono aspri come in campo repubblicano

La verità è che i dibattiti tra Sanders e Clinton non sono divertenti come quelli tra repubblicani. Non solo manca Donald Trump ad agitare le acque, ma tutto sommato, anche se l’incertezza della corsa ha prodotto un innalzamento dei toni, c’è rispetto reciproco. Le ultime frasi che i due si sono detti, a tre giorni dalle primarie in New Hampshire (che Sanders vincerà quasi certamente) sono: «La prima persona che chiamerei per discutere del futuro, in caso di vittoria della nomination, è il senatore Sanders»; «A volte in queste campagne i toni si alzano un pochino, ma io rispetto molto la Segretario di Stato e, anche nei nostri giorni peggiori, entrambi siamo cento volte meglio di qualsiasi candidato repubblicano». L’applauso più entusiasta del pubblico arriva qui.

Tre minuti di dibattito


Non che Hillary e Bernie siano d’accordo su tutto, no. Il senatore del Vermont accusa Clinton di essere troppo vicina ai poteri forti della finanza che sono una delle rovine del Paese e contribuiscono a mantenere alte le diseguaglianze: «Clinton rappresenta l’establishment, io mi sforzo di rappresentare la gente comune». Dal canto suo, l’ex senatrice di New York sostiene che il suo ex collega non abbia credenziali abbastanza solide in politica estera per tempi difficili come quelli che viviamo. E che accusarla di essere un pezzo dell’establishment del Paese, quando è la prima donna di sempre a correre per la presidenza, sia sbagliato. È un argomento. Come anche quello di Sanders sulla vicinanza a Wall Street. Questo è comunque il tasto sul quale Hillary è in difesa e si irrita: «Se il senatore vuole ricordare una volta in cui ho cambiato le mie posizioni perché pressata da Wall Street lo dica, oppure la smetta di insinuare». È il momento più duro del dibattito e Clinton riesce a rispondere non male. Hanno ragione entrambi. Ma per quanto i media raccontino lo scontro come duro – e su questo aspetto i toni si sono leggermente alzati – non siamo di fronte a una battaglia per colpi bassi.

Sanders è bravo rispondendo sul suo punto debole: «Io ero per parlare con l’Iran e mi si diceva fossi naive, non lo ero. E sull’Iraq, davanti alle stesse prove che anche Clinton vide, io votai no. La politica estera non solo esperienza ma capacità di giudizio».

Una campagna è così, qualche accusa bisogna pur lanciarla e le differenze tra i due ci sono, proprio sull’atteggiamento da tenere nei confronti di ricchezza e finanza nell’America in cui sono cresciute le diseguaglianze. Sanders qui attacca con facilità, ha proposte chiare e un pedigree immacolato. Clinton deve giocare sulla difensiva: «Evidentemente non ho spiegato abbastanza la mia posizione sulla riforma di Wall Street». Ma la gara vera è tra chi dei due può vestire con più orgoglio la maglietta con su scritto “progressista”. Clinton spiega: «Secondo la definizione di Sanders nemmeno Obama è progressista, io sono una progressista che produce risultati, e la radice della parola progressista è progresso».

Ma i due sono quasi d’accordo sulla necessità di una drastica riforma del sistema penale: troppi innocenti nei bracci della morte dice Clinton, Sanders ribadisce il suo no alla pena di morte: «Il governo non dovrebbe prendere parte a uccisioni». Anche sulla crisi delle acque a Flint, Michigan, dove per risparmiare soldi pubblici si è fatta bere acqua al piombo per mesi alla gente i due concordano, e si distinguono sulla riforma sanitaria nel senso che una vuole difendere Obamacare e l’altro vuole espanderne la portata per creare un sistema di sanità pubblica per tutti (che avrebbe molto senso, visti i folli costi amministrativi della sanità privata americana).

Entrambi hanno argomenti sulla loro forza come candidati: «I democratici vincono quando molta gente va a votare, io porterei l’entusiasmo necessario» dice Sanders. «Io sono la candidata più esperta e solida per battere i repubblicani e vincere le elezioni», dice Clinton.

Una cosa appare però chiara, nonostante qualche scambio un po’ acido in quello che fino a oggi è stato il confronto più duro tra i due – che per la prima volta erano da soli, dopo il ritiro di Martin O’Malley – c’è meno luce tra i candidati democratici che tra Cruz, Rubio e Trump. A Clinton resta il problema dell’entusiasmo e a Sanders quello della credibilità per la presidenza. Il senatore socialista democratico avrebbe potuto azzannare di più quando a Clinton è stato chiesto “divulgherai i dati su quanti soldi hai guadagnato dando discorsi publbici?” e lei ha aggirato la domanda. In fondo, sembra di capire dal tentativo di entrambi di accostarsi a Obama, i due hanno chiara una cosa: occorre fare di tutto per non aiutare i repubblicani a tornare alla Casa Bianca. Per una volta, non capita spesso, i democratici sono più uniti dei repubblicani, che per quanto si facciano la guerra, poi marciano compatti contro l’avversario: entrambi rifiutano di rispondere su questioni personali che circolano sui media o in rete. Martedì si vota in New Hampshire, vincerà Sanders che avrà così una ragione in più di continuare una corsa che genera entusiasmo, per Clinton ogni risultato sopra il 40% è ottimo.

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