Al secolo Edoardo D’Erme, è l’ultimo fenomeno del pop italiano. Il suo ultimo album lo ha intitolato Mainstream. Perché? «Sono felice che esista, per me non ha mai avuto un’accezione negativa»

Non se lo spiega neanche lui il successo avuto con Mainstream, il suo primo album ufficiale, dopo qualche tentativo insieme ad amici musicisti. Calcutta, al secolo Edoardo D’Erme, 26 anni, crede sia tutto uno scherzo. Un tipo naïf, sicuramente poco avvezzo alle interviste. Fino a poco tempo fa, suonava nei locali dei suoi amici a Latina, città in cui è nato e ha studiato, e che neanche disprezza troppo. I trascorsi tra band punk e poi l’idea di scrivere canzoni in italiano: «Piano piano, mi piaceva sempre di più il pop ed eccomi qui». Calcutta ha scelto questo nome – «perché suona bene» – quattro anni fa. Nel progetto prima erano in due, poi da solo, voce e chitarra, e adesso sono in quattro, insieme a lui tastiera, basso e batteria.

Se gli chiedi se è il fenomeno del momento, ti dice: «Come Ronaldo? Ma no, non lo so, anche con Davide (di Bomba Dischi, la sua etichetta indipendente, ndr) ci chiediamo se sia tutto vero. Ci sembra di essere al The Truman Show, con tanta gente che collabora per prenderci in giro». Mainstream, uscito a fine novembre, è un «disco stretto» (così lo definisce lui) in cui ci regala sette brani inediti, tutti piacevoli, dove la melodia si fonde bene con le parole, mai scontate in entrambi i casi. Trovate efficaci, linguaggio puro, sarcasmo letterario, arrangiamenti e testi ricercati. Quasi quasi, verrebbe da dire che scrive senza pensare, ma non perché, a un certo punto, sbucano “Sandra e Raimondo”, una ferrea coppia televisiva e non solo, sebbene passata, ma perché è quasi geniale questa improbabile menzione. Ci sorprende in “Gaetano”, con una «svastica disegnata a Bologna solo per litigare», poi diventa romantico in “Cosa mi manchi a fare”, il brano più passato dalle radio, e non tralascia l’attualità, anche provinciale: papa Francesco e il Frosinone in serie A: «Sono due cose assurde, è cambiato il mondo, non è più come anni fa. Intendo, quando stavamo meglio, di solito si dice così (ride), ma è una parentesi che puoi riempire come ti pare. Adesso è tutto diverso, c’è questo tipo che non sembra neanche un papa e poi c’è una squadra di calcio come il Frosinone in serie A, paradossi appunto».

Poi c’è “Dal Verde”, un pezzo ancora diverso, che si fonde meravigliosamente con la melodia, è questa la qualità dell’autore, con questa notte che “ci vorrebbe” per viaggiare e ricominciare. Edoardo ride ancora. Non ha macchinato nulla, ha solo tradotto in parole, musica e rime poco ostentate l’amarezza di un pomeriggio, assalito dalla nostalgia per l’agro pontino, come nel brano “Milano”; ha riportato all’attenzione gli scontri tra residenti e immigrati, in quel di Torpignattara qualche mese fa, ancora in “Gaetano”, che poi è davvero un suo amico siciliano, il quale gli giura che la periferia romana è un ghetto.


 

Questo articolo continua sul n. 6 di Left in edicola dal 6 febbraio

 

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