I colossi stranieri dell'acciaio non hanno interesse a garantire lo sviluppo industriale. Le cordate italiane appaiono troppo deboli. Intanto spuntano i nomi di Scaroni e Morselli per guidare la transizione

Il tempo stringe. Il 10 febbraio scade il termine per le manifestazioni d’interesse e l’acquisizione dell’Ilva non sembra un traguardo molto ambito. Non solo perché parliamo di un’area altamente inquinata che necessita di decine di milioni per riqualificazione e bonifica. O perché chi dovesse acquistare il pacchetto d’acciaio si caricherebbe di un bel po’ di debiti (ultimi i 300 milioni di aiuti di Stato che, maggiorati degli interessi, i nuovi proprietari dovranno restituire). E nemmeno perché l’area a caldo è sotto sequestro su ordine della Procura di Taranto.

Il motivo di maggiore incertezza è dato dal panorama internazionale, già caratterizzato da una crisi da sovrapproduzione. All’orizzonte, il riconoscimento – che potrebbe arrivare dalla Commissione Ue entro fine mese – dello status di economia di mercato per la Cina, Paese dai costi di produzione ridottissimi. Questo farebbe saltare gli attuali dazi doganali, mettendo in ginocchio l’industria dell’acciaio nei Paesi concorrenti. Prima tra le vittime proprio l’italica Ilva, i cui conti e la cui produzione certo non vantano numeri competitivi. Ora il governo, dopo la gittata di milioni riversata con l’ultimo decreto, è impegnato a gestire la transizione, individuando anche una nuova guida. Pochi giorni fa, a conferma delle “voci di corridoio” delle settimane scorse, è giunta tempestiva l’autocandidatura di Paolo Scaroni. «Ci penserei» ha detto l’ex ad di Eni, oggi numero due alla banca d’affari Rotschild, al microfono di Giovanni Minoli.

Ora che l’ex dg Massimo Rosini e il direttore commerciale Maurizio Munari hanno lasciato, Scaroni fa outing spiegando che certo è prematuro parlarne, ma che l’ipotesi gli è stata ventilata e lui non disdegnerebbe. Non è l’unica sul tavolo, ma potrebbe essere questa la soluzione all’affaire Ilva propiziata dal duo Renzi-Guidi. L’ex ad dell’Eni ha confermato a Mix24 di aver affrontato la questione in un recente incontro con il presidente del Consiglio, aggiungendo: «Se si creasse una cordata italiana che avesse bisogno di una persona che conosce un po’ il mondo dell’acciaio ci penserei». E Scaroni conosce sia il mercato che gli operatori di casa nostra che potrebbero imbarcarsi nell’avventura. Come la famiglia italo-argentina dei Rocca, proprietari della Techint, dove ha dato impulso alla sua carriera di manager da metà anni Ottanta e per il decennio seguente, propiziando proprio l’espansione nel settore siderurgico.

Nel 1996, Scaroni ha patteggiato una pena di un anno e quattro mesi per aver pagato, per conto della società di cui era stato vicepresidente e ad, una tangente al Psi al fine di ottenere appalti per la costruzione della centrale elettrica di Brindisi. «Se entra Techint, l’Ilva la guida Scaroni», confermano ora anche gli addetti ai lavori. Un’altra possibile candidatura, si vocifera in ambienti industriali, è quella di Lucia Morselli, attuale ad di ThyssenKrupp Ast, produttrice del 50% dell’acciaio inox italiano. Proprio Morselli era riuscita esattamente un anno fa a sedare, non senza fatica, gli scioperi che avevano causato ritardi sulle consegne e ingenti perdite, com’è avvenuto nei giorni scorsi a seguito delle proteste dei lavoratori Ilva di Cornigliano (Ge).


 

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