Claudio Santamaria è un Jeeg robot italiano, alle prese con i criminali di Tor Bella Monaca. «Se avessi i superpoteri? Irromperei in Parlamento»

Dal 25 febbraio arriverà nelle sale cinematografiche Lo chiamavano Jeeg Robot. Il protagonista è Claudio Santamaria che ritroviamo nei panni di un supereroe un po’ coatto, un Jeeg robot italiano che si destreggia tra le bande della periferia della Capitale e i social network. Dopo averlo visto in Diaz (per Daniele Vicari), dentro il pigiama di Pentothal che in Paz! (di Renato De Maria) urla «Amatemi» dalla finestra, e dopo aver incarnato un impeccabile Rino Gaetano per la tv, per il suo 35esimo film Gabriele Mainetti gli cuce addosso Enzo, il protagonista di Lo chiamavano Jeeg robot. Cresciuto a Prati, quartiere della Roma bene, Santamaria ha girato le scene a Tor Bella Monaca, periferia capitolina, «piuttosto pesante da vivere, una realtà dura dove i ragazzini si sparano in faccia», racconta l’attore. La linea tra realtà e fantasia, quando si parla di supereroi, è sottilissima.

Stavolta sei Enzo, un Jeeg robot italiano che si destreggia tra il Tevere, Tor Bella Monaca e i social network. Perché la gente ha bisogno dei supereroi?
Da una parte c’è un’identificazione. Ma credo ci sia anche la ricerca di un dio, cioè la speranza che arrivi un essere con dei poteri sovrannaturali che in qualche modo ci salvi e ci guidi.

Il supereroe che interpreti, all’inizio ha un carattere “negativo”: sei un ladruncolo che pensa di usare i superpoteri per la tua attività criminale. Poi diventa “positivo”, e combatte i criminali guidati dal boss di piccolo taglio interpretato da Luca Marinelli. È verosimile una tale trasformazione?
C’è una frase di David Lynch che è una delle cose più illuminanti che abbia mai letto in vita mia: «Le persone non cambiano, si rivelano». All’inizio il mio personaggio ha una chiusura verso il mondo dovuta a una sofferenza, a delle perdite, che lo hanno allontanato dalla gente e che lo fan- no pensare solo a sé. È un egoista, ma egoista non significa essere cattivi. Il cambiamento è l’amore, che è la vera trasformazione, il vero superpotere. È quello che lo trasforma da supercriminale in supereroe. Solo quando mette i suoi poteri al servizio degli altri, diventa un supereroe, non basta avere dei poteri altrimenti sarebbe solo “uno con dei poteri”.

«Se avessi davvero i superpoteri irromperei in Parlamento», hai dichiarato ad Adnkronos. E poi cosa faresti?
(ride) Beh è ironico… ma neanche tanto. Innanzitutto manderei via tutte le persone indagate, e poi farei giustizia, perché per me non abbiamo un governo giusto. Certo, in Parlamento già ci sono dei supereroi, persone che si battono per la verità e per l’onesta. Ed è questo secondo me quello per cui dovrebbe battersi un supereroe. Perciò se io li avessi farei questo, semplicemente: manderei via le persone che non sono né oneste, né sincere.

Insomma, sventurata la terra che ha bisogno di (super)eroi?
Esattamente!

Su Left abbiamo raccontato i nuovi supereroi “gentili”, quanto bisogno abbiamo in Italia di gentilezza?
Un bisogno smisurato. Quando ci viene dato un seme di gentilezza siamo talmente disabituati a questo che non ci crediamo più, appena arriva qualcuno che è onesto e vuole fare il bene di questo Paese siamo diffidenti, pensiamo sempre che ci vogliano fregare. E invece le persone che fanno davvero le cose per la gente esistono, ci sono. Bisogna ricominciare a fidarsi.

Per esempio?
Bisogna cambiare radicalmente. Ho spesso detto che credo molto nel Movimento 5 stelle. Poi, se un giorno mi deluderanno cambierò idea, ma in questo momento sono la forza politica che mi rappresenta di più. Credo che abbiano le qualità umane e le competenze per farlo, voglio dare loro fiducia.

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Questo articolo lo trovi sul numero 41 di Left

 

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