Cosa ci dice la figuraccia del ministro che gioisce per i fondi della ricerca ottenuti da italiani che lavorano fuori dall'Italia? Il buongiorno di Giulio Cavalli

La ministra Stefania Giannini, tutta presa dall’obbligo istituzionale di fomentare ottimismo, è riuscita nella temibile impresa di riconnettere in un sol colpo la “casta” di governo al resto del popolo, tutto con un banale post su Facebook: mentre il ministro ha pensato bene di esultare social-mente per l’alto numero di ricercatori italiani premiati con una borsa di ricerca dell’European Resarch Council (ERC) ha rimbalzato in tutto il Paese la risposta piccata di Roberta d’Alessandro, una delle ricercatrici premiate, che ha chiarito di avere dovuto andarsene dall’Italia per ottenere quel riconoscimento.

«Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati» ha risposto la ricercatrice «Abbia almeno il garbo di non unire, al danno, la beffa, e di non appropriarsi di risultati che italiani non sono. Proprio come noi. Vada a chiedere alla vincitrice del concorso per linguistica informatica al Politecnico di Milano (con dottorato in estetica, mentre io lavoravo in Microsoft), quante grant ha ottenuto. Vada a chiedere alle due vincitrici del concorso in linguistica inglese, senza dottorato, alla Statale di Milano, quanti fondi hanno ottenuto. Vada a chiedere alla vincitrice del concorso di linguistica inglese, specializzata in tedesco, che vinceva il concorso all’Aquila (mentre io lo vincevo a Cambridge, la settimana dopo) quanti fondi ha ottenuto. Sono i fondi di queste persone che le permetto di contare, non i miei». E bum! La ministra incassa e giù il sipario.

Cosa ci insegna questa mirabile “figura di tolla”? Beh, c’è un momento che è sacro nella quotidianità di ogni lavoratore italiano: la sera quando si torna a casa. Siamo un popolo che si sveglia, si trascina spesso a elemosinare dignità spremendo un lavoro senza nemmeno la forma di un lavoro, ci arrabattiamo talvolta tra quotidianità talmente contrite da usurarci la testa e il cuore, caracolliamo in un Paese che ci fa scontare ogni diritto con il sudore poi quando rientriamo da questa battaglia giornaliera, tutto il giorno tutti i giorni in bilico tra l’Italia che raccontano e quella che incontriamo per strada, ecco almeno in quel momento lì, c’è voglia di tornare a casa non ancora sbriciolati del tutto ma almeno con un po’ di speranza intorno. Ci impegniamo a non sbriciolarci del tutto per portare un pezzo di noi a casa e godercelo al riparo.

Io ricordo molto bene il tozzo di mio padre o di mio nonno che tornavano dopo le sgroppate da operai turnisti, stanchi ma mica sfatti con una bella speranza affilata buone per grattarci qualche momento di serenità. E quel momento lì, il ritorno a se stessi, è il momento privato della giornata di ognuno. Non è difficile sentire come si sia ammosciata la speranza, di questi tempi: e per questo sarebbe bene (sarebbe ottimo) che almeno quel tempo non venga stropicciato dalla narrazione marchettara dell’ottimismo. L’ha capito a sue spese la ministra ma ora lo sanno tutti: quando ci si impegna a tornare a casa con almeno un po’ di speranza intorno smettete di gonfiare le trombe della propaganda. Altrimenti succede che qualcuno, con tutta l’energia che ha accumulato tutte le volte che non è tornato, risponda. Ed è un tonfo. Cara ministra.

Buon lunedì. Buona settimana, senza sformarsi.