Gli studenti lanciano una legge di iniziativa popolare per garantire le borse di studio a chi ne ha diritto. I professori boicottano il sistema di valutazione. E intanto le risorse mancano sempre di più

Dai professori universitari che si ribellano al metodo e ai tempi per la valutazione della qualità e ricerca dei propri lavori agli studenti che in nome del diritto allo studio lanciano una legge di iniziativa popolare. E nel mezzo, la ricerca italiana che fa una bella figura, sì, ma stando all’estero. Ecco, bastano queste poche notizie per comprendere come il mondo dell’università e della ricerca viva un momento travagliato, anzi travagliatissimo.

Lo si è visto anche con l’assemblea del’11 febbraio a Napoli, promossa dai docenti universitari e dai ricercatori che fanno parte della Rete per il diritto allo studio e alla ricerca. Il loro appello (qui), che vede tra i primi firmatari Piero Barcellona, Alessandro Arienzo, Armando Carravetta, Bruno Catalanotti, Bruno M.Olivieri, annovera tra i punti chiave, la richiesta di investimenti contro il deserto del sapere al Sud e le disuguaglianze tra gli atenei oltre che per favorire un nuovo welfare studentesco e l’aumento di personale, in modo da colmare il turn over. Il documento partito dalla Federico II di Napoli è stato poi sottoscritto da decine e decine di docenti italiani come, tra gli altri, Tomaso Montanari, Enzo Scandurra, Nadia Urbinati e dalla rete è nata anche la pagina facebook dei “docenti preoccupati”.

Il boicottaggio della Vqr
A Napoli è emersa in tutta la sua portata anche la protesta a macchia di leopardo che sta attraversando le università italiane, e cioè il boicottaggio della Vqr (Valutazione qualità e ricerca), cioè il “rifiuto”, da parte dei docenti, di fornire i dati che servono all’Anvur (Agenzia nazionale per la valutazione università e ricerca) per valutare oltre 100mila progetti che vedono protagonisti 50mila ricercatori. Quei dati sono preziosi perché è in base poi alla loro valutazione da parte della (ormai da tempo contestata) Anvur che verrà assegnata agli atenei una parte del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo). Le motivazioni che stanno alla base della protesta e del boicottaggio sono diverse. Si va dall’input lanciato mesi fa da Carlo Vincenzo Ferraro, ordinario del Politecnico di Torino che in sostanza lega la protesta alla questione degli scatti bloccati, ad altre posizioni che riflettono critiche da un punto di vista più politico rispetto al sistema di valutazione e ai metodi adottati  dall’Anvur che, in passato, come documentato da Roars  hanno destato molti interrogativi.  La scadenza per la consegna dei dati è il 29 febbraio. Intanto,  lo stesso presidente della Conferenza dei rettori italiani, Gaetano Manfredi,  ha scritto una lettera (qui) al ministro Giannini chiedendo di spostare la scadenza Vqr dal 29 febbraio al 30 aprile. Adesso circa il 25 per cento dei docenti si rifiuta di immettere questi benedetti dati nei cervelloni del Miur. Vedremo se la richiesta di proroga sarà accettata.

Il ministro e la ricercatrice
Che poi la ricerca non navighi in buone acque, lo si è visto anche a proposito dei bandi Erc. E qui è significativo l’episodio che ha visto “duellare” a distanza il ministro Giannini e una ricercatrice. È accaduto che il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini abbia annunciato su facebook “un’altra ottima notizia per la ricerca italiana”, cioè trenta borse Erc (European research council) che ci collocano, udite udite, “al terzo posto insieme alla Francia”. Ma ci ha pensato prima Marco Viola su Uninews (qui) e poi una delle vincitrici del bando Erc a rivelare la realtà delle cose. Ben diversa dalla versione triumphans presentata dal ministro Giannini. Di quei 30 vincitori di bandi europei infatti, solo 13 rimarranno in Italia a sviluppare il loro progetto, fa notare Marco Viola. E, tanto per rincarare la dose, nessuno degli altri vincitori europei ha scelto il nostro Paese per concretizzare il loro oggetto di studio. Si fa notare giustamente come i fondi pubblici siano sempre più scarsi (solo 92 milioni per la ricerca di base negli ultimi tre anni) e l’incertezza nella carriera.

L’Italia, tanto per ricordare alcune cifre, per l’università spende 7 miliardi, la Germania 27, è ultima in Europa per numero di laureati e dal 2003 ha perso 83mila iscritti. Ma tornando alla notizia dei bandi Erc, oltre all’attento fact-checking di Viola, ci ha pensato anche una vincitrice, Roberta D’Alessandro a smorzare l’entusiasmo di Giannini. “Cara Ministra la prego di non vantarsi dei miei risultati”, ha detto. Roberta è una linguista laureata a L’Aquila e sempre a Marco Viola in una lunga e appassionata intervista racconta quello che è il vero dramma per un ricercatore: non essere riconosciuto dal proprio Paese. Dopo aver deciso di fare un dottorato all’estero (“ma non sono scappata”, precisa Roberta) e aver girato per molti Paesi stranieri, ha provato a rientrare ma non ci è riuscita. La linguista spiega che non si sente di far parte della ricerca italiana, ma a pieno titolo di quella dell’Olanda dove ha scelto di vivere e lavorare. Così continuerà a studiare e ad approfondire il suo progetto, che riguarda il rapporto tra l’italiano nel contatto con altre lingue e grammatiche – in particolare dei migranti abruzzesi e molisani – dove? In Olanda, naturalmente.

Le borse di studio non ci sono
L’ultimo tassello del puzzle sempre più frastagliato della formazione universitaria è quello che riguarda il diritto allo studio che viene sempre più cancellato, favorendo il sorgere di una università classista, per ricchi. Le cifre e i dati contenuti nell’ultimo Rapporto sulla condizione studentesca 2015 parlano chiaro. Esiste una disparità tra le regioni che il fondo statale non riesce a colmare e inoltre per il 42% sono le stesse tasse pagate dagli studenti che contribuiscono al fondo per le borse di studio. E non solo. Ogni anno 40mila studenti, soprattutto del Sud, pur risultando idonei rispetto al certificato Isee, non rientrano nelle assegnazioni degli assegni di studio. In Italia a beneficiare delle borse di studio è il 10 % degli studenti, una cifra ben inferiore a quella della Spagna (19%) o della Francia (27%). Nonostante le promesse del governo, non è accaduto nulla. E per questo motivo, come dice Alberto Campailla, portavoce di Link-Cordinamento universitario, “Noi studenti abbiamo deciso di mettere in campo una nostra proposta nazionale di legge sul diritto allo studio per costruire una Nuova università, col fine di raggiungere la piena gratuità dell’istruzione. Questa legge contiene alcuni obiettivi che riteniamo irrinunciabili a partire da l’innalzamento della soglia per l’accesso al beneficio, una ampia no tax area, l’impegno statale di garantire un finanziamento adeguato per erogare la borsa a tutti gli idonei, fino al reddito di formazione, strumento diffuso in tutta Europa di emancipazione dei soggetti in formazione”. Una legge di iniziativa popolare dunque che parte dal basso, e la cui raccolta firme potrebbe accompagnarsi a quella del referendum contro la Buona scuola. Se ne parlerà il 27 febbraio in una assemblea alla casa dello Studente Cesare De Lollis a Roma.
@dona_Coccoli)