Where love is illegal, dove l'amore è illegale, è il nome di un progetto lanciato sul web da un gruppo di persone che lavorano a sostegno dei diritti umani per denunciare discriminazioni e persecuzioni sulla base di preferenze sessuali e identità di genere. «Crediamo che le storie abbiano il potere di unire le persone, di aprire la mente, trasformare le opinioni e cambiare le politiche» spiegano dallo staff di whereloveisillegal.com. Il progetto nasce a partire dal lavoro di Robin Hammond, fotografo e attivista per i diritti umani. Per un decennio Robin ha viaggiato attraverso l'Africa sub-Sahariana per raccontare storie che avevano a che fare con lo sviluppo sociale e civile di quei paesi, spesso afflitti da depressione economica e da regimi dittatoriali intolleranti e violenti. Schermata 2016-02-17 alle 09.26.55 Anno dopo anno Robin è rimasto sempre più scioccato di fronte all'intolleranza che in alcuni paesi si sviluppava contro le varie comunità Lgbt. Nel 2014 mentre sta lavorando in Nigeria a un reportage per il National Geographic si imbatte nella storia di cinque ragazzi arrestati e trascinati di fronte a un tribunale perchè omosessuali. Pochi giorni dopo Robin si ritrova seduto faccia a faccia con quei giovani che lo guardano con gli occhi colmi di terrore perché non hanno più una casa, sono costretti a nascondersi e non sanno che ne sarà di loro. Torna a trovarli più volte, scatta loro delle foto, raccoglie le loro testimonianze. Con quelle immagini partecipa al “Getty Grant for Good”, un fondo per progetti a scopo benefico che gli permette di realizzare Where Love Is Illegal. Robin conosce altri attivisti, fra i quali Harold Smith Franzen, comincia a viaggiare in tutto il mondo dall'Uganda al Cameroon, passando per il Sud Africa, per spostarsi poi in Malesia, Russia, Libano raccogliere storie e conoscere nuove persone che vogliono aiutarlo in questo progetto. Nel giro di due anni Where Love Is Illegal diventa una piattaforma per sensibilizzare il grande pubblico sulle violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone omosessuali e per raccogliere finanziamenti per tutte quelle associazioni locali che lottano per la difesa dei diritti civili. Diventa anche una sorta di diario globale in cui raccogliere singole storie personali che si intrecciano da un capo all'altro del mondo con un unico fil rouge: l'amore (e il diritto di amare) negato, ferito, calpestato solo perché considerato diverso. Ecco alcune delle storie raccontate su whereloveisillegal.com
Sud Africa

Olwetu & Ntombozuko

 
«Ecco queste puttane che cercano di rubarci le nostre ragazze» questo è quello che un gruppo di uomini urla prima di attacare Ntombozuko. Ntombozuko è sopravvissuta due volte a questo genere di attacchi omofobici, la seconda volta è stato accoltellato e ancora porta i segni di quella bestiale aggressione. «È stato il giorno peggiore della mia vita, anche oggi ho paura quando cammino per strada».
Uganda

Rihana & Kim

 
 

«Siamo stati portati in prigione, abbiamo avuto una vita difficile, siamo stati picchiati e costretti ai lavori forzati»

 

Raymond

 
«Chi è sospettato di essere gay e viene arrestato dalla polizia viene frustato con una cinghia di cuoio. Miiro & Imran sono stati trascinati fuori dalla loro casa e picchiati in strada. Raymond è stato pestato a sangue fuori da un bar e lo stesso è successo ad Apollo e a molti dei loro amici»
Siria

La storia di M.

«Cosa c’è di speciale nel Paradiso? Le persone lì non ti giudicano». M. in Siria era un medico. È stato rapito dalle milizie di Jabhat al-Nusra, un gruppo affiliato a al-Queda, perché è gay. «All’inizio mi hanno minacciato, volevano tagliarmi la testa, mi hanno piazzato un coltello sotto la gola e mi hanno detto: sei pronto a morire?». M. è stato rilasciato dopo che la sua famiglia ha pagato un riscatto. Più tardi, quando Daesh ha preso il controllo della zona, anche le milizie del sedicente Stato Islamico, sono venute a cercarlo, affermando che per la loro legge doveva essere condannato alla pena di morte per la sua omossessualità. M. è riuscito a scappare nel vicino Libano, dove oggi vive da rifugiato.

 
Venezuela

La storia di Alex

 
«Ogni giorno era carico di tensione, paura e tristezza ma facevo del mio meglio perché quella spirale depressiva non si impossessasse di me, soprattutto cercando di essere di sostegno per altri che avevano avuto i miei stessi problemi e cercando di focalizzare l’attenzione su cose positive» a parlare è Alex, una ragazza lesbica originaria di Caracas in Venezuela. Quando i suoi genitori scoprirono la sua sessualità, la spedirono in un centro di “riabilitazione” per curare l’omosessualità in Virginia e successivamente in un altro centro nello Utah. «Ho trascorso molti anni della mia vita in quel tipo di centri di riabilitazione. E lì ho perso molte cose: il senso di protezione che dovrebbe darti un genitore, il senso della mia intimità e della mia privacy, la mia capacità di relazionarmi con le persone, l’innocenza che mi era rimasta e la fiducia negli altri. Quei posti mi hanno fatto dubitare di me stessa, della mia sanità mentale, hanno messo in discussione la mia stabilità emotiva. Non mi hanno “aggiustata”, mi hanno ridotta in pezzi».
Iraq

Khalid

 
Russia

D&O

 

«Tienimi la mano, questa è la mia ricompensa per il tuo coraggio». D. e O. sono una coppia di ragazze russe, sono state aggredite per strada solo perché passeggiavano mano nella mano.

[social_link type="twitter" url="http://twitter.com/GioGolightly" target="" ][/social_link]  @GioGolightly

Where love is illegal, dove l’amore è illegale, è il nome di un progetto lanciato sul web da un gruppo di persone che lavorano a sostegno dei diritti umani per denunciare discriminazioni e persecuzioni sulla base di preferenze sessuali e identità di genere. «Crediamo che le storie abbiano il potere di unire le persone, di aprire la mente, trasformare le opinioni e cambiare le politiche» spiegano dallo staff di whereloveisillegal.com. Il progetto nasce a partire dal lavoro di Robin Hammond, fotografo e attivista per i diritti umani. Per un decennio Robin ha viaggiato attraverso l’Africa sub-Sahariana per raccontare storie che avevano a che fare con lo sviluppo sociale e civile di quei paesi, spesso afflitti da depressione economica e da regimi dittatoriali intolleranti e violenti.

Schermata 2016-02-17 alle 09.26.55

Anno dopo anno Robin è rimasto sempre più scioccato di fronte all’intolleranza che in alcuni paesi si sviluppava contro le varie comunità Lgbt. Nel 2014 mentre sta lavorando in Nigeria a un reportage per il National Geographic si imbatte nella storia di cinque ragazzi arrestati e trascinati di fronte a un tribunale perchè omosessuali. Pochi giorni dopo Robin si ritrova seduto faccia a faccia con quei giovani che lo guardano con gli occhi colmi di terrore perché non hanno più una casa, sono costretti a nascondersi e non sanno che ne sarà di loro. Torna a trovarli più volte, scatta loro delle foto, raccoglie le loro testimonianze. Con quelle immagini partecipa al “Getty Grant for Good”, un fondo per progetti a scopo benefico che gli permette di realizzare Where Love Is Illegal. Robin conosce altri attivisti, fra i quali Harold Smith Franzen, comincia a viaggiare in tutto il mondo dall’Uganda al Cameroon, passando per il Sud Africa, per spostarsi poi in Malesia, Russia, Libano raccogliere storie e conoscere nuove persone che vogliono aiutarlo in questo progetto. Nel giro di due anni Where Love Is Illegal diventa una piattaforma per sensibilizzare il grande pubblico sulle violazioni dei diritti umani nei confronti delle persone omosessuali e per raccogliere finanziamenti per tutte quelle associazioni locali che lottano per la difesa dei diritti civili. Diventa anche una sorta di diario globale in cui raccogliere singole storie personali che si intrecciano da un capo all’altro del mondo con un unico fil rouge: l’amore (e il diritto di amare) negato, ferito, calpestato solo perché considerato diverso.
Ecco alcune delle storie raccontate su whereloveisillegal.com

Sud Africa

Olwetu & Ntombozuko

 

«Ecco queste puttane che cercano di rubarci le nostre ragazze» questo è quello che un gruppo di uomini urla prima di attacare Ntombozuko. Ntombozuko è sopravvissuta due volte a questo genere di attacchi omofobici, la seconda volta è stato accoltellato e ancora porta i segni di quella bestiale aggressione. «È stato il giorno peggiore della mia vita, anche oggi ho paura quando cammino per strada».

Uganda

Rihana & Kim

 

 

«Siamo stati portati in prigione, abbiamo avuto una vita difficile, siamo stati picchiati e costretti ai lavori forzati»

 

Raymond

 


«Chi è sospettato di essere gay e viene arrestato dalla polizia viene frustato con una cinghia di cuoio. Miiro & Imran sono stati trascinati fuori dalla loro casa e picchiati in strada. Raymond è stato pestato a sangue fuori da un bar e lo stesso è successo ad Apollo e a molti dei loro amici»

Siria

La storia di M.

«Cosa c’è di speciale nel Paradiso? Le persone lì non ti giudicano». M. in Siria era un medico. È stato rapito dalle milizie di Jabhat al-Nusra, un gruppo affiliato a al-Queda, perché è gay. «All’inizio mi hanno minacciato, volevano tagliarmi la testa, mi hanno piazzato un coltello sotto la gola e mi hanno detto: sei pronto a morire?». M. è stato rilasciato dopo che la sua famiglia ha pagato un riscatto. Più tardi, quando Daesh ha preso il controllo della zona, anche le milizie del sedicente Stato Islamico, sono venute a cercarlo, affermando che per la loro legge doveva essere condannato alla pena di morte per la sua omossessualità. M. è riuscito a scappare nel vicino Libano, dove oggi vive da rifugiato.

 

Venezuela

La storia di Alex

 

«Ogni giorno era carico di tensione, paura e tristezza ma facevo del mio meglio perché quella spirale depressiva non si impossessasse di me, soprattutto cercando di essere di sostegno per altri che avevano avuto i miei stessi problemi e cercando di focalizzare l’attenzione su cose positive» a parlare è Alex, una ragazza lesbica originaria di Caracas in Venezuela. Quando i suoi genitori scoprirono la sua sessualità, la spedirono in un centro di “riabilitazione” per curare l’omosessualità in Virginia e successivamente in un altro centro nello Utah. «Ho trascorso molti anni della mia vita in quel tipo di centri di riabilitazione. E lì ho perso molte cose: il senso di protezione che dovrebbe darti un genitore, il senso della mia intimità e della mia privacy, la mia capacità di relazionarmi con le persone, l’innocenza che mi era rimasta e la fiducia negli altri. Quei posti mi hanno fatto dubitare di me stessa, della mia sanità mentale, hanno messo in discussione la mia stabilità emotiva. Non mi hanno “aggiustata”, mi hanno ridotta in pezzi».

Iraq

Khalid

 

Russia

D&O

 

«Tienimi la mano, questa è la mia ricompensa per il tuo coraggio». D. e O. sono una coppia di ragazze russe, sono state aggredite per strada solo perché passeggiavano mano nella mano.

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