Il Sipri di Stoccolma diffonde i dati sul commercio internazionale di armi. Usa, Russia e Cina i grandi esportatori. Tutti i Paesi del Medio Oriente impegnati in una corsa al riarmo. Cresce anche l'export italiano, che finisce anche in Egitto, Turchia, Pakistan e Arabia Saudita. Probabilmente in violazione delle leggi vigenti nel nostro Paese

Sono anni di guerre e alta tensione in varie aree del mondo questi. Bastava guardare al commercio di armi, a chi comprava, per capire che c’erano Paesi che preparavano politiche di potenza o si preoccupavano di potenziare il proprio materiale bellico per poi lanciarsi in politiche più aggressive o quanto meno assertive nei confronti dei vicini (o delle popolazioni interne). Gli scambi internazionali di armi, una merce più che speciale, sono cresciuti del 14% nel periodo 2011-2015 rispetto al periodo 2006-2010. È questo quanto rilevato dagli esperti del Sipri, lo Stockholm international peace research institute, che da decenni raccoglie ed elabora questi dati e ogni anno pubblica un rapporto che è la bibbia in materia.

Chi vende
I cinque esportatori maggiori assieme fanno il 74% del commercio totale e sono più o meno gli stessi di sempre: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Germania. Con la novità che le esportazioni americane e russe sono cresciute del 27 e 28% mentre quelle cinesi dell’88%, mentre le vendite all’estero di francesi e tedeschi sono diminuite. La Cina non era nel quintetto e oggi supera i grandi esportatori europei.

Chi compra
I cinque principali importatori sono India, Arabia Saudita, Cina, Emirati Arabi Uniti e Australia. Da un punto di vista delle regioni del mondo, il Medio Oriente ha conosciuto un boom, con il 61% in più, poi Asia e Oceania e infine Africa. Altri grandi acquirenti di sistemi d’arma sono Turchia e Pakistan, Egitto, tutti Paesi coinvolti in conflitti armati (Siria, Afghanistan) o violenta repressione del dissenso interno (in Kurdistan o in tutto il Paese, per quanto riguarda il regime di al Sisi).

E l’Italia?
L’Italia è sempre ben piazzata: ottavo posto e 2,7% del commercio internazionale, un bel salto in avanti visto che nel periodo precedente la percentuale era del 2,1%. I nostri principali acquirenti sono gli Emirati, l’India e la Turchia. Siamo l’ottavo esportatore mondiale e con Spagna e Gran Bretagna siamo anche tra gli europei che in questi anni hanno visto crescere il proprio volume di affari – Olanda, Francia e Germania sono in territorio negativo. Tra i nostri clienti del quinquennio ci sono, oltre al terzetto di testa, anche Messico, Nigeria, Egitto, Pakistan, Kuwait, Oman, Arabia Saudita. Una collezione di democrazie mature. È legale questo export per un Paese che ha una buona legge in materia e che prevede una serie di restrizioni quali il divieto di vendere armi a Paesi in stato di conflitto armato, a Paesi la cui politica contrasti col ripudio della guerra sancito dalla nostra Costituzione, a Paesi sotto embargo delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, a Paesi responsabili di accertate gravi violazioni alle Convenzioni sui diritti umani? Probabilmente no. Ma la legge 185 del 1990, che fu il prodotto di una grande mobilitazione delle organizzazioni pacifiste, è stata svuotata negli anni. La legge prevede un sistema di autorizzazioni e, poi, l’invio alle Camere di una relazione che contenga tutte le informazioni necessarie a ricostruire i passaggi (spesso si usa la triangolazione per aggirare i divieti, vendendo a un Paese, che vende a un terzo). Bene, queste informazioni, nelle relazioni annuali al Parlamento, sono sempre più vaghe. Il caso delle bombe partite a più riprese dalla Sardegna con destinazione Arabia Saudita, che è in guerra in Yemen e che per questo non dovrebbe poter ricevere armi, è di poche settimane fa.