Terza vittoria di fila per il miliardario newyorchese. Dietro Rubio e Cruz, che sommati prendono i suoi stessi voti. Trump vince tra ricchi, poveri, moderati conservatori e latinos perché l'elettorato repubblicano vuole un presidente che non sia un politico

Qualcuno fermi Donald Trump. Tre Stati e tre vittorie per il miliardario spaccone di New York. I suoi muri contro i messicani, le parodie, le litigate con il papa, le sparate anti musulmani non lo toccano. La rabbia dell’uomo qualunque è con lui e niente che gli altri candidati competitivi provino a fare riesce a scalfire il suo vantaggio. Che a ogni tornante diventa più solido.

Republican presidential candidate Donald Trump arrives for a caucus night rally Tuesday, Feb. 23, 2016, in Las Vegas. (AP Photo/Jae C. Hong)I caucus del Nevada sono stati un disastro organizzativo: lunghe code, litigi e qualche accusa di irregolarità nel voto – qui e la i volontari avevano magliette pro-Trump, ma non è vietato. La partecipazione, molto alta e inaspettata, ha fatto il resto. Ma il risultato è comunque inequivocabile: Trump prende quanto i suoi due contendenti messi assieme: Rubio e Cruz arrivano appaiati attorno al 22 e qualcosa per cento, con il primo in testa, Trump oltre il 45. Con un risultato così c’è poco da fare i conti su quali voti prenda: l’outsider che sta provocando enormi mal di testa al partito repubblicano vince in tutti i gruppi. Come dice nel video qui sotto «Abbiamo vinto tra i giovani e i vecchi, gli istruiti e i non istruiti, gli evangelici e anche i latinos». Ecco, che Trump arrivi primo tra i latinos contro due che di nome fanno Rubio e Cruz è un segno di forza. Che arrivi primo tra gli evangelici contro il superconservatore Cruz, pure è un segnale. Tanto più che il Nevada è uno di quegli Stati cosiddetti swing, pendolo, che contribuiscono a determinare il risultato finale delle presidenziali (assieme a Iowa, Ohio, Florida, New Mexico, Virginia e altri).

La rabbia degli americani repubblicani contro il mondo, Washington, i vicini di casa è alle stelle. Larghissime maggioranze degli intervistati all’uscita dai seggi dicono che non vogliono un politico a fare il presidente e che sono arrabbiati per come vanno le cose. È una costante dei sondaggi di tutti gli Stati dove si è votato fino a oggi. L’alta partecipazione ai caucus è anche un segnale che Trump sta cominciando a mobilitare e si è dotato di almeno un po’ di macchina organizzativa. In Iowa non era così e arrivò secondo. Anche questa è una novità ed un segnale di grande forza.

Voters line up outside a Republican caucus site, Tuesday, Feb. 23, 2016, in Las Vegas. (AP Photo/John Locher)
Lunghe code a Las Vegas. (AP Photo/John Locher)

A questo punto della corsa e a una settimana dal SuperTuesday, è difficile immaginare chi e cosa possa fermarlo. Tra gli undici Stati che votano il SuperMartedì ci sono anche la Florida, l’Ohio e il Texas, rispettivamente la casa di Marco Rubio, John Kasich e Ted Cruz. Questi devono vincere bene e molto a casa loro – tre Stati molto pesanti – e sperare che Trump non gli arrivi troppo vicino. A tutti questi serve almeno una vittoria fuori casa. Cruz punterà tutto sul Sud, molto conservatore e religioso, quanto a Trump, Rubio e Kasich sarà interessante vedere come andranno in Minnesota e Massachusetts, tendenzialmente democratico il primo, superdem il secondo, luoghi che possono misurare l’appeal di un moderato presso l’elettorato bianco. Intanto però c’è Trump che li guarda nello specchietto retrovisore.