Non so voi ma a me ha colpito l'appello di Irene Regeni. Colpito e affondato. La sorella di Giulio ha appeso uno striscione sul balcone della casa di famiglia a Fiumicello. Un telo giallo di tessuto leggero con la scritta VERITA' PER GIULIO REGENI. Così, maiuscolo. Con le linee rette dritte quasi scolastiche, avranno usato un metro oppure un righello di quello che usavamo a scuola, per le lezioni di tecnica. Per scrivere su uno spazio così grosso devono avere, per forza, steso la bandiera della mancata resa di famiglia sul pavimento del salotto. O fuori, in giardino, in un posto asciutto. Con un pennarellone, probabilmente. A vederlo non sembra pennello. Pennarello. E hanno calcato più di una volta, soprattutto le curve che sono così meno perfette rispetto alle linee. La A è secca e matematica mentre la R ha tutta la sbavatura di un lutto. Si saranno detti «calcalo bene», «ancora una volta» e poi avranno fatto qualche passo indietro, come quando si faceva autogestione al liceo e si saranno detti che così è meglio, molto meglio, si legge bene. Dove sta attaccato, il lenzuolo con urlo su sfondo giallo, sulla pancia dell'inferriata del balcone, appena sotto al lato in basso c'è l'incominciamento di muschio. Deve essere stato un inverno umido. O forse c'è una brutta perdita dal pavimento esterno. Ai fianchi due vasi. Da quello di destra sbuca una rosa rosa. Chissà con che occhi guardano una rosa rosa due genitori a cui hanno restituito il figlio con un corpo come un cencio. Irene Regeni ha postato questa foto chiedendo di appendere striscioni a tutti. Per la verità, ha scritto. Ecco, noi siamo anche il Paese dove una famiglia monca, con un dolore diventato mondiale e una mezza verità che non vale nemmeno per una riunione condominiale, noi siamo quel Paese in cui la famiglia di Giulio, mentre i potenti assicurano che faranno di tutto, mentre i presidenti dicono che chiederanno la verità, mentre la comunità internazionale non ha mancato di stendere un telegramma e comprare di corsa una corona di fiori, noi siamo il Paese in cui quella famiglia lì, con il figlio sepolto senza nemmeno tutte le unghie, prende le misure, stende la tela, ricalca le lettere e appende uno striscione al proprio balcone. E io non riesco nemmeno ad immaginare di che sostanza sia fatto il dolore di un gesto così. Di una disperazione che riesce ad avere cura comunque delle cose minime. Buon giovedì.  

Non so voi ma a me ha colpito l’appello di Irene Regeni. Colpito e affondato. La sorella di Giulio ha appeso uno striscione sul balcone della casa di famiglia a Fiumicello. Un telo giallo di tessuto leggero con la scritta VERITA’ PER GIULIO REGENI. Così, maiuscolo. Con le linee rette dritte quasi scolastiche, avranno usato un metro oppure un righello di quello che usavamo a scuola, per le lezioni di tecnica. Per scrivere su uno spazio così grosso devono avere, per forza, steso la bandiera della mancata resa di famiglia sul pavimento del salotto. O fuori, in giardino, in un posto asciutto. Con un pennarellone, probabilmente. A vederlo non sembra pennello. Pennarello. E hanno calcato più di una volta, soprattutto le curve che sono così meno perfette rispetto alle linee. La A è secca e matematica mentre la R ha tutta la sbavatura di un lutto. Si saranno detti «calcalo bene», «ancora una volta» e poi avranno fatto qualche passo indietro, come quando si faceva autogestione al liceo e si saranno detti che così è meglio, molto meglio, si legge bene.

Dove sta attaccato, il lenzuolo con urlo su sfondo giallo, sulla pancia dell’inferriata del balcone, appena sotto al lato in basso c’è l’incominciamento di muschio. Deve essere stato un inverno umido. O forse c’è una brutta perdita dal pavimento esterno. Ai fianchi due vasi. Da quello di destra sbuca una rosa rosa. Chissà con che occhi guardano una rosa rosa due genitori a cui hanno restituito il figlio con un corpo come un cencio. Irene Regeni ha postato questa foto chiedendo di appendere striscioni a tutti. Per la verità, ha scritto.

Ecco, noi siamo anche il Paese dove una famiglia monca, con un dolore diventato mondiale e una mezza verità che non vale nemmeno per una riunione condominiale, noi siamo quel Paese in cui la famiglia di Giulio, mentre i potenti assicurano che faranno di tutto, mentre i presidenti dicono che chiederanno la verità, mentre la comunità internazionale non ha mancato di stendere un telegramma e comprare di corsa una corona di fiori, noi siamo il Paese in cui quella famiglia lì, con il figlio sepolto senza nemmeno tutte le unghie, prende le misure, stende la tela, ricalca le lettere e appende uno striscione al proprio balcone. E io non riesco nemmeno ad immaginare di che sostanza sia fatto il dolore di un gesto così. Di una disperazione che riesce ad avere cura comunque delle cose minime.

Buon giovedì.