È passato un mese dal rapimento di Giulio Regeni, inghiottito nel nulla la sera del 25 gennaio, l’anniversario della rivolta di Piazza Tahrir. Oggi un sit-in davanti all’ambasciata egiziana

È passato un mese dal rapimento di Giulio Regeni, inghiottito nel nulla la sera del 25 gennaio, l’anniversario della rivolta di Piazza Tahrir. Oggi, a Roma, davanti all’ambasciata egiziana (Via Salaria ingresso villa Ada, ore 14.00) si terrà un sit-in organizzato da Antigone e da Coalizione italiana diritti civili a cui hanno aderito, tra gli altri, Amnesty Italia e l’Arci.

Dopo un mese non ci sono novità e come dice a Left Giuseppe Acconcia, ricercatore a Londra, esperto di Medio oriente «l’unica pista è ancora quella dell’incidente stradale, gli inquirenti egiziani non hanno presentato altre ipotesi». Per questo motivo, per impedire che il silenzio e l’insabbiamento impediscano la ricerca della verità, è importante che l’attenzione sia sempre alta. Amnesty ha lanciato la campagna “Verità per Giulio Regeni” a cui tutti possono aderire (qui), esponendo gli striscioni gialli di Amnesty. Ma in particolar modo l’appello viene rivolto ai comuni, agli enti locali, alle università, perché nei luoghi pubblici venga esposto il manifesto con la richiesta di verità.
Il rischio che il brutale omicidio di Giulio venga coperto da una coltre di nebbia è alto. Troppi gli interessi economici e geopolitici tra l’Italia e l’Egitto. “E’ in corso una possibile guerra in Libia e l’Egitto è un partner fondamentale del governo italiano”, dice Acconcia. E poi ci sono gli interessi economici con l’accordo che vede come protagonista l’Eni interessato ai giacimenti scoperti nel Mediterraneo. Insomma, l’unica speranza è che i familiari e l’opinione pubblica si facciano promotori di iniziative che squarcino il muro del silenzio.
Con il ricercatore Giuseppe Acconcia, ripercorriamo gli ultimi sviluppi della vicenda di Giulio.
A che punto sono le indagini?
Le autorità egiziane non stanno collaborando con le forze italiane presenti al Cairo come il Ros e Interpol. Non hanno fornito i due elementi che servono alle indagini, e cioè i tabulati telefonici e le carte della prima autopsia, subito dopo il ritrovamento del cadavere. Sono passate tre settimane dal ritrovamento del corpo di Giulio (3 febbraio Ndr) ed è fondamentale acquisire questi dati. C’è stata anche una rogatoria internazionale, ma in realtà non è possibile avere accesso.
Quali risvolti potrebbero produrre i tabulati e l’esame autoptico?,
Sarebbero molto importanti per le indagini perché le rivelazioni della stampa egiziana che sono state smentite dalla procura di Giza avevano fornito la tesi che Giulio Regeni fosse stato prelevato sotto casa sua nel quartiere di Dokki vicino al Nilo. In realtà, poiché non è stato possibile né avere le registrazioni delle telecamere dei negozi vicini né è stato possibile accedere ai tabulati, non è stato possibile vedere l’ultima cella agganciata . E quindi resta il dubbio del luogo dove è stato prelevato: se sotto casa sua o dentro la metropolitana o fuori, all’uscita el Behoos. Gli egiziani fin dal primo momento hanno cercato di spostare il luogo dove è stato prelevato dalle vicinanze di piazza Tahrir. Resta tutto aperto perché non abbiamo i tabulati.
C’era un testimone che affermava di averlo visto fermare sotto casa.
Il testimone è stato smentito, si è recato all’ambasciata italiana per dire che aveva visto persone in borghese, la sera del 25 gennaio. In realtà aveva parlato delle 17.30 e noi sappiamo che Giulio è stato prelevato verso le 19.40, 20.20, dopo non è stato più rintracciabile . Quella testimonianza è stata scartata dagli inquirenti. Stessa cosa vale per i vicini di casa: un negoziante avrebbe detto, credo, al New York Times che l’abitazione di Giulio era stata perquisita e che già altre volte i poliziotti si erano recati a casa sua prima. Ma questa testimonianza non è stata validata e questo testimone non si è più presentato.
Al momento quindi qual è il quadro della situazione? Che cosa sappiamo?
Non abbiamo alcun elemento che ci permetta di dire dove Giulio è stato prelevato né se fosse sotto controllo prima del 25 gennaio. Una cosa sola è certa. Nel momento in cui il magistrato Colaiocco ha interrogato alcuni suoi amici, loro hanno parlato di una delle riunioni a cui ha partecipato Giulio, in particolare quella dell’11 dicembre di cui lui ha scritto nell’articolo pubblicato prima sul sito Nena news e poi postumo sul Manifesto. Quell’articolo non è altro che una cronaca di una riunione sindacale, una delle più partecipate riunioni che si erano svolte negli ultimi tempi. Probabilmente è stato visto e notato, ma insieme a lui c’erano attivisti politici, personaggi che più di lui potevano essere “attenzionati”. Lui era solo uno studioso, non c’è alcun elemento che ci faccia pensare che fosse qualcosa di più di un ricercatore e di uno studioso .
Quindi ancora non è possibile formulare un’ipotesi sul perché della sua uccisione.
Ancora non è possibile. Forse si è trattato di un arresto generico, visto che quel giorno era il 25 gennaio. È possibile anche che ci sia stato uno scambio di persone – non sappiamo nemmeno se è stato identificato -. È possibile ancora che gli egiziani abbiano inviato degli infiltrati. È stato fatto credere anche che fosse lui una spia. Alle autorità egiziane interessava costruire la montatura sulla spia proprio per giustificare agli occhi degli egiziani il fatto che sia stato brutalmente ammazzato.

A un mese di distanza dalla sua scomparsa, i depistaggi che ruolo hanno avuto?
Intanto sono quattro i tentativi di depistaggio. Il primo viene direttamente dal capo degli inquirenti che si chiama Khaled Sahalaby che è stato colui che ha tirato fuori la pista dell’incidente stradale. Subito dopo è stata avanzata l’ipotesi di una rapina , ma quella sera c’era un servizio di sicurezza così capillare che pensare a una rapina è davvero fuori delle possibilità. La terza ipotesi è quella del delitto gay, perché in questo modo si discredita la vittima. Furono arrestate due persone omosessuali ma poi subito rilasciate perché la pista non reggeva. Poi è stata la volta della spia, costruita su nessuna base anche se la stampa italiana ci ha marciato, i giornalisti sono andati a Oxford, non capendo che tanti ricercatori fanno consulenze ma non hanno niente a che vedere con l’intelligence come l’intendiamo noi, i servizi segreti. Infine l’ultimo depistaggio in ordine di tempo  qualche giorno fa è arrivato dalla stampa egiziana che tirava in campo i Fratelli musulmani.

Si è parlato anche di complotto.
Sì, si è parlato di complotto che può essere avvenuto a vari livelli: può essere anche della polizia ai danni di al-Sisi. Poiché il presidente egiziano in questa fase ha consolidato il suo potere, la polizia agirebbe per discreditarlo. Ma questa ipotesi non regge. Plausibile invece che tra le persone che hanno arrestato e ucciso Giulio ci fossero dei criminali, soggetti poco raccomandabili a cui magari è sfuggita di mano la situazione. Magari nemmeno era stato informato al-Sisi, anche se fa parte dell’agenda del regime militare colpire gli stranieri. Come del resto prevedeva una proposta di legge.
Quale proposta di legge?
Era dell’anno scorso e prevedeva di far prendere il visto a tutti gli stranieri prima di partire, come avviene in altri Paesi. Invece quando si va in Egitto, il visto ti viene dato subito all’aeroporto. Ma di questa proposta poi non se n’è fatto nulla proprio per tutelare il turismo.
In che modo potrebbero entrarci i Fratelli Musulmani?
L’altro complotto di cui si parla, è quello, appunto, dei Fratelli Musulmani. Loro vogliono destabilizzare l’Egitto, in effetti sono il principale partito di opposizione, fuori legge dal 2014. Hanno subito una repressione fortissima, i dirigenti delle scuole o degli ospedali che sono affiliati alla fratellanza musulmana o sono stati arrestati o sono stati rimossi dai loro incarichi. Ma i segni che ci sono sul corpo di Giulio è proprio impossibile che siano stati fatti da un esponente dei Fratelli Musulmani. E poi sono i segni caratteristici lasciati sui corpi di coloro che vengono torturati dalla sicurezza di stato, che è un gruppo paramilitare interno alla polizia egiziana che si chiama Amn el-Dawla.
In conclusione, quale potrebbe essere una versione dei fatti realistica?
Lo ripeto, ci sono tutti gli elementi che fanno pensare a un arresto sommario, a un omicidio non sommario ai danni di uno straniero e probabilmente nell’omicidio ci sono implicati dei piccoli criminali che hanno fatto precipitare la situazione.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.