L'associazione ambientalista ha preso a riferimento i dati riferiti al triennio 2012-2014 riguardanti 34 impianti - 33 nel 2012 e 2014 - che estraggono gas, tutti di proprietà di Eni, è emerso che in tre quarti dei sedimenti marini adiacenti alle piattaforme si registra la presenza di concentrazioni oltre i limiti per almeno una sostanza chimica

«Una contaminazione grave e diffusa» nei sedimenti e nelle cozze in prossimità delle piattaforme di estrazione di gas davanti alle coste italiane. La denuncia arriva da Greenpeace, che questa mattina ha pubblicato il rapporto “Trivelle fuorilegge”, spiegando che oltre a sussidi ed agevolazioni, molti impianti offshore in Adriatico spesso fanno registrare concentrazioni di sostanze chimiche oltre i limiti di legge.

L’associazione ambientalista ha preso a riferimento i dati riferiti al triennio 2012-2014 ottenuti dal ministero dell’Ambiente riguardanti 34 impianti – 33 nel 2012 e 2014 – che estraggono gas, tutti di proprietà di Eni (il ministero non ha concesso agli ambientalisti i dati relativi alle alre 100 piattaforme operanti nei mari italiani). Dall’analisi delle informazioni ottenute, è emerso che in tre quarti dei sedimenti marini adiacenti alle piattaforme si registra la presenza di concentrazioni oltre i limiti per almeno una sostanza chimica: almeno una sostanza “fuorilegge” è stata rinvenuta nel 76% dei casi nel 2012, nel 73,5% nel 2013 e nel 79% nel 2014.

«Ci sono contaminazioni preoccupanti da idrocarburi policiclici aromatici e metalli pesanti, molte di queste sostanze sono in grado di risalire la catena alimentare fino a raggiungere gli esseri umani», spiega Giuseppe Ungherese, responsabile campagna Inquinamento di Greenpeace. «La situazione si ripete di anno in anno ma ciò nonostante non risulta che siano state ritirate licenze, revocate concessioni o che il ministero abbia preso altre iniziative per tutelare i nostri mari».

 

La mappa delle piattaforme “analizzate” da Greenpeace

Mappa_piattaforme

 

Le analisi sui campioni di cozze raccolti nei pressi delle piattaforme mostrano che circa l’86% del totale superava il limite di concentrazione di mercurio. E circa l’82% dei campioni presi in esame presentava valori più alti di cadmio rispetto a quelli misurati nei campioni presenti in letteratura; altrettanto accade per il selenio (77% circa) e lo zinco (63% circa). Per bario, cromo e arsenico la percentuale di campioni con valori più alti era inferiore (37%, 27% e 18% rispettivamente).

Oltre all’esito delle analisi, quello che preoccupa gli ecoattivisti è la genesi dei dati ricevuti facendo istanza al ministero. I monitoraggi, infatti, sono stati effettuati da Ispra su commissione di Eni, proprietaria delle piattaforme oggetto di indagine. In sostanza, denuncia Greenpeace, il controllore è a libro paga del controllato.

«Quel che a nessun cittadino sarebbe concesso – dichiara Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace -, è concesso invece ai petrolieri, il cui operato è fuori controllo, nascosto all’opinione pubblica e gestito in maniera opaca. Sono motivi più che sufficienti per spingere gli italiani a partecipare al prossimo referendum sulle trivelle del 17 aprile, e a votare Sì per fermare chi svende e deturpa l’Italia».