Valeria Solarino è in teatro con un adattamento del film di Scola, Una giornata particolare. Con noi parla di unioni civili e maternità surrogata

Quando è morto Ettore Scola, Achille Occhetto mi ha detto che tra quelli del regista il suo film preferito non era, come avevo immaginato, La terrazza, dove Gassman interpreta un deputato comunista che si muove in una compagnia salottiera che oggi definiremmo radical chic. «Una giornata particolare, senza dubbio», è invece la scelta dell’ultimo segretario del Pci. «Perché è un film perfetto dal punto di vista formale», dice, «ma che dimostra tutta la sensibilità politica e culturale di Scola, con l’efficace contrappunto tra il machismo fascista e la delicatezza sorprendente di Mastroianni omosessuale». E con Valeria Solarino, in questa intervista un po’ politica, non potevo dunque che partire che da qui, da cosa l’ha colpita, a lei, del film di Scola che con Giulio Scarpati sta portando, adattato, nei teatri. «La scenaggiatura», dice, «è la forza di Scola, il modo in cui scrive, fa muovere e parlare i personaggi, facendo politica in un modo raffinato».
E allora, politica per politica, io la provo a portare subito sulla figura di Mastroianni, che tanto ha colpito Occhetto, e così sull’attualità che ci spinge a parlare della legge sulle unioni civili, dei diritti degli omosessuali. «Ma quello di Scola», mi frena, «è soprattutto un film di critica al regime, critica che arriva attraverso la rappresentazione della famiglia, con il padre marito e padrone così ignorante, e alcune scene che restituiscono perfettamente il lato ridicolo di un regime». E cita una scena, Solarino, per spiegare cosa intende: «Faceva sorridere al cinema e fa sorridere ora chi viene a vederci a teatro», dice, «la scena della rumba, quando Gabriele, Marcello Mastroianni, insegna a Antonietta, Sophia Loren, il passo base. I due ballano e quando dalla radio di una vicina arrivano più forti le note di una canzone fascista, Gabriele spegne il giradischi, dispiaciuto, e fa “Ecco. Questa è meno ballabile”».
È presto detto, dunque, perché portare oggi in teatro Una giornata particolare (dal 31 marzo al 10 aprile a Roma, questo week end a Perugia). Non solo per comodità: «È una sceneggiatura perfetta, quasi tutta in un unico ambiente e con due soli personaggi. E io», continua Solarino, «ho la possibilità di portare in scena ogni sera un personaggio stupendo, capace di parlarci ancora oggi che la condizione delle donne non è più quella del 1938, ma di passi in avanti da fare ce ne sono ancora tantissimi».
Donne, democrazia, conformismo, ovviamente omosessualità. Poteva essere un’ operazione quasi nostalgia, una rievocazione storica, mettere in scena Una giornata particolare e invece Scarpati e Solarino, diretti da Nora Venturini, si sono trovati immersi nella cronaca: «Ma credo che con opere così alte», mi dice ancora Solarino, «sia inevitabile. Storie scritte così, con tutta questa attenzione per la vita, parlano sempre a chi le guarda, anche se il contesto per cui l’aveva pensata Scola è ormai lontano». Non è il 1977, anno di uscita del film, questo è il tempo delle copertine di Libero, dei sondaggi online in cui si chiede se Nichi Vendola sia più giusto chiamarlo “babbo” o “mammo”. E la delicatezza di quel racconto, la delicatezza di Mastroianni di cui parla Occhetto ha poco a che fare con il livello del dibattito di questi giorni. «Mi sembra», è il commento con cui Solarino se ne tira fuori, «che i commenti siano quasi tutti fatti a priori, più dettati dal posizionamento politico che non dalla reale volontà di affrontare un tema». Tema che, nello specifico, è quella della gestazione per altri, volgarmente detta utero in affitto. Cosa ne pensa Valeria Solarino? «È una pratica da regolamentare, sarebbe il caso», dice, «e dovremmo farlo senza chiederci se la pratica sia più usata da omosessuali o da coppie etero, perché il punto non può esser quello». […]


 

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Sono nato a Roma, il 23 febbraio 1988. Vorrei vivere in Umbria, ma temo dovrò attendere la pensione. Nell'attesa mi sposto in bicicletta e indosso prevalentemente cravatte cucite da me. Per lavoro scrivo, soprattutto di politica (all'inizio inizio per il Riformista e gli Altri, poi per Pubblico, infine per l'Espresso e per Left) e quando capita di cultura. Ho anche fatto un po' di radio e di televisione. Per Castelvecchi ho scritto un libro, con il collega Matteo Marchetti, su Enrico Letta, lo zio Gianni e le larghe intese (anzi, "Le potenti intese", come avevamo azzardato nel titolo): per questo lavoro non siamo mai stati pagati, nonostante il contratto dicesse il contrario.