Lei per prima aveva detto di voler rinunciare alla candidatura perché incinta. Ma ha trasformato quello di Bertolaso e Berlusconi nell'assist perfetto. Ora deve solo unire il fronte del centrodestra. È difficile ma non è escluso. E poi Meloni potrà puntare sulla rete ex msi

Mai assist fu migliore. Bertolaso passa a Berlusconi, Berlusconi crossa, Meloni colpisce a porta vuota e corre sotto la curva: «In una città che ha come simbolo una lupa che allatta due gemelli, non sarà un problema una donna sindaco che allatta un bambino». Così Giorgia Meloni conferma la sua candidatura alle prossime elezioni amministrative romane e però si propone anche di unire il centrodestra finora rissosissimo e oggettivamente spaccato, con la candidatura di Bertolaso, voluta da Berlusconi, quella di Francesco Storace, voluta da Francesco Storace stesso – e un po’ da Gianni Alemanno – contro Bertolaso, e ora quella di Meloni, che realizza, in uno scenario non facilissimo, un desiderio covato da tempo, e fa felice Matteo Salvini, che sponsorizzando lei ha compiuto un altro passo nella sua personale conquista del centrodestra nazionale. Ci sarebbe poi anche la candidatura di Alfio Marchini, ma quello sta nel mezzo, un po’ di destra un po’ di sinistra, e quindi negli scenari va lasciato ai margini.

Partono ora le manovre per ricomporre il fronte ed è questa una delle ragioni per cui non va sottovalutata la candidatura della leader di Fratelli d’Italia. A sentire Renata Polverini non c’è speranza («Berlusconi», dice la forzista già presidente della regione Lazio, «non cederà la sua leadership, non dopo questo teatrino»). Ma la trattativa c’è. Sanno tutti che Giorgia Meloni è un candidato più forte di Bertolaso e che d’altronde era lei il piano A di Berlusconi, prima che la stessa Meloni si sfilasse – e lo facesse adducendo proprio la ragione della maternità («Ho sempre detto che la mia candidatura era l’extrema ratio», si difende). Tutto, insomma, può succedere, e troppo presto potrebbero aver brindato 5 stelle e dem, convinti con il centrodestra così diviso di essersi assicurati una corsa a due e il ballottaggio.

«Ho sentito Berlusconi, è stata una telefonata cordiale ma interlocutoria ed aspetto di vedere cosa dirà pubblicamente», dice Giorgia Meloni: «Un ticket con Guido Bertolaso? Lui può decidere cosa fare, è uomo di concretezza e abbiamo bisogno di concretezza». «Storace? Bisogna vedere quali sono i suoi compagni viaggio perché mi dicono che stia fondando un partito con Fini ed Alemanno e questo per me sarebbe un problema perché voglio dare un netta distinzione con il passato», continua Meloni, sempre attenta a smarcarsi da Gianni Alemanno, con cui condivide lo stesso universo missino ma dalla cui esperienza amministrativa deve tenersi molto lontana, suo vero punto debole, l’altra faccia del suo punto di forza, (oltre alla notorietà, che è sicuramente maggiore di quella tanto di Giachetti quanto di Raggi): il suo partito è piccolo, alle ultime amministrative non è arrivato al 6 per cento, ma conta su una rete di militanti ancora attivi, i più legati al capo dei camerati di Colle Oppio Fabio Rampelli, i Gabbiani. Poi ci sono i giovani di Atreju più direttamente fedeli alla Meloni. Tutto sta nel raccontare che con Alemanno, con parentopoli e l’invasione degli ex missini in Campidoglio, non c’entrino nulla. Quanti romani si faranno convincere?