La visita di Obama e il dialogo con Raùl Castro promettono un nuovo futuro all’Isola. Il vecchio leader vorrebbe lasciare agli eredi un socialismo emendato delle sue asprezze ideologiche

È iniziata un’altra storia nelle relazioni tra Stati Uniti e Cuba. Con il viaggio di Barack Obama a L’Avana si è chiusa la lunga fase dello scontro frontale iniziata quasi subito dopo la rivoluzione del 1959 e durata fino a un anno fa, quando il dialogo tra le due sponde della Florida prese il sopravvento in modo insperato complice la mediazione di papa Francesco. Della visita di Obama – grazie ai siti internet cubani e statunitensi, alle tv – abbiamo potuto seguire in diretta ogni dettaglio pubblico: dalla cena dell’inquilino della Casa Bianca e della sua famiglia in un paladar alla conferenza stampa con Raúl Castro, fino al discorso tenuto presso il Gran Teatro che è servito a spiegare perché è cambiata la politica a stelle e strisce nei confronti dell’Isola.

Tra le tante immagini, rimarranno indelebili quelle di Obama e della sua delegazione in Piazza della Rivoluzione sullo sfondo dell’effigie di Ernesto Che Guevara e quelle delle bandiere di Cuba e Stati Uniti una accanto all’altra mentre risuonano le note dei due inni nazionali. Chi conosce l’asprezza delle passate contrapposizioni, ha potuto comprendere l’emozione del momento. Poi c’è stata la cordialità tra i due presidenti a suggellare le altre fasi dell’incontro. Obama ha parlato di necessaria “riconciliazione” e di fiducia nella democrazia politica come motore della storia. Castro è stato molto più prudente.

Questa nuova fase nella storia dei rapporti tra L’Avana e Washington ha alcuni punti fermi. Gli Stati Uniti rinunciano – lo ha ripetuto più volte Obama – a ogni ingerenza negli affari interni dell’Isola e a forme economiche belligeranti, di cui l’embargo in vigore dal 1962 è la forma più brutale. Anzi, come hanno già fatto negli ultimi mesi, intendono incentivare ogni forma di cooperazione economica. Non è nei poteri di Obama cancellare l’embargo, prerogativa che spetta al Congresso, ma il presidente americano si sta adoperando per renderlo il più possibile innocuo e anacronistico. Cuba è già piena di turisti e imprenditori americani, il via libera al commercio bilaterale è già in atto, ci sono voli diretti tra i due Paesi, è caduto l’embargo postale e telefonico. Come ha detto Obama, ciò che si è messo in moto – salvo imprevisti – è irreversibile: «Quando una politica non ha dato risultati per cinquant’anni, bisogna cambiarla. I nuovi rapporti tra Cuba e Stati Uniti saranno utili a entrambi per conoscersi e collaborare».


 

Questo articolo continua sul n. 13 di Left in edicola dal 26 marzo

 

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