A Torino e Pordenone le foto dai quattro angoli del mondo del grande fotografo americano

Il suo ritratto di Sharbat Gula, la ragazzina afgana dagli occhi verdi che Steve McCurry fotografò nel campo profughi pachistano di Peshawar negli anni Ottanta (e che poi abbiamo rivisto trent’anni dopo segnata da una vita molto dura) è diventata il simbolo degli afgani fuggiti in Pakistan dove a fatica riescono a sopravvivere.
In quella foto di Steve McCurry «è racchiuso un complesso universo di esperienze e di emozioni» nota Biba Giacchetti, curatrice della grande retrospettiva dedicata al fotografo americano nela Citroniera delle Scuderie Juvarriane della Reggia di Venaria, alle porte di Torino. Nello spazio “incantato” della Reggia si dipana la rassegna più completa tra le mostre che Civita e SudEst57 hanno dedicato dal 2009 a oggi al grande fotografo americano. Ad aprire questa esposizione aperta dal 31 marzo al 25 settembre è una serie di inediti scatti in bianco e nero realizzati tra il 1979 e il 1980 quando per la prima volta McCurry si recò in Afghanistan, dove viaggiava insieme ai mujaheddin che combattevano contro l’invasione sovietica.

Il coraggio di spingersi fino in prima linea per testimoniare guerre, conflitti, situazioni di crisi caratterizza tutto il percorso di McCurry che collabora con riviste come Time, Life, Newsweek, Geo e il National Geographic. Inviato di guerra a Beirut, in Cambogia, in Kuwait e nell’ex Jugoslavia, anche come fotografo dell’agenzia Magnum, McCurry non ha documentato solo distruzioni e violenza, ma ha saputo dare un volto anche alla resistenza e alla ricerca di riscatto.Vengono dall’Afghanistan, il Paese dove è tornato molte volte nell’arco degli ultimi 35 anni, alcune delle foto di Steve McCurry entrate nella storia perché raccontano in maniera diretta e potente il dramma di masse di persone costrette a fuggire dalla propria terra, a causa della guerra, della miseria, dell’oppressione straniera e interna, dovuta ai talebani. Ma nel percorso scenograficamente allestito da Peter Bottazzi e curato da Giacchetti (che ha selezionato 250 scatti) non c’è solo l’amatissimo Afghanistan ma anche l’India, il Sudest asiatico, l’Africa, gli Stati Uniti, il Brasile e Cuba. «Perché già il solo viaggiare e approfondire la conoscenza di culture diverse, mi procura gioia e mi dà una carica inesauribile», dice McCurry.

Proprio Cuba fotografata prima della fine del disgelo dei rapporti con gli Usa è al centro della mostra di Steve McCurry alla Galleria Bertoia di Pordenone, realizzata con la collaborazione di Jacob Cohen. In questo caso la curatrice Biba Giacchetti ha scelto 120 fotografie che, sotto il titolo Senza confini, raccontano lo spirito di ricerca che ha accompagnato tutta la carriera di questo fotografo nato a Philadelphia nel 1950 e cosmopolita per scelta, che ama «raccontare la dimensione collettiva, in una sorta di girotondo dove si mescolano età, culture, etnie». Nel catologo McCurry/Icons sono pubblicate 50 fotografie di Steve McCurry di straordinaria intensità cinematografica. Ogni immagine è commentata dallo stesso McCurry che ne racconta la genesi.

Immagine in evidenza: Fishermen at Weligama.  Sri Lanka, 1995. © Steve McCurry