Equa distribuzione dei diritti televisivi e meno strapotere delle televisioni: se vuoi vedere una partita la domenica devi comprare il biglietto e andare allo stadio. Un libro di aneddoti, pareri e storie

“Money makes the world go round”. I soldi fanno girare il mondo, cantava Liza Minelli. Lo sanno bene gli spin doctor della Premier League, che ormai a cadenza triennale portano a casa contratti televisivi sempre più ricchi. L’ultimo, valido per il periodo 2016-2019 e che entrerà in vigore a giugno, ammonta a 5,13 miliardi di sterline (oltre 7 miliardi di euro), circa 2 miliardi in più rispetto al precedente. E stiamo parlando solo dei diritti per trasmettere in esclusiva 168 partite nel territorio del Regno Unito acquistati da Sky e BT – la piattaforma di Rupert Murdoch pagherà 4,2 miliardi di pounds per 126 match, la British Telecom 960 milioni per i rimanenti 42 incontri. Poi ci sono gli introiti che ogni squadra incassa per la vendita dei diritti all’estero, circa 3,2 miliardi di sterline. Totale, tra Inghilterra e resto del mondo, oltre 8 miliardi di sterline. Un fiume di quattrini che ha contribuito a rendere la massima divisione inglese se non il campionato più bello del Pianeta, sicuramente quello più seguito.

In Premier i (tantissimi) denari pagati da Sky e dalle altre emittente satellitari avvicendatesi negli ultimi anni vanno divisi per il 50% in parti uguali, per il 25% in base alle apparizioni televisive (da scegliere secondo l’andamento del campionato), mentre il restante 25% dipende dal piazzamento finale in classifica. Un buon incentivo per giocarsi anche un’apparentemente inutile ultima di campionato per decidere un decimo o un undicesimo posto, verrebbe da dire. Forse si eviterebbero partite sospette – o truccate – come sembra sia accaduto dalle nostre parti. Per i diritti venduti all’estero la torta viene divisa in parti uguali tra tutte e 20 le squadre che partecipano al campionato.

Non a caso guardando la classifica dei guadagni legati agli introiti televisivi, si nota che tra il team che si laurea campione d’Inghilterra e quelli che retrocedono il divario non è amplissimo. Nel 2013-14 il Manchester City ha incassato 96 milioni di sterline, il Cardiff (ultimo in classifica) 65. Da noi è stato calcolato che, nel 2012-13, alla Juventus spettavano quasi 100 milioni di euro, al Pescara circa 20, ma soprattutto che 13 club non superavano i 35 milioni.

Un altra differenza tra l’Italia e l’Inghilterra sta nel numero di partite trasmesse. Così come nel resto d’Europa, anche oltre Manica i frequentatori di stadi si sono abituati a dover rinunciare all’orario canonico d’inizio match, il tutto per soddisfare l’appetito degli spettatori televisivi, che di solito cominciano l’abbuffata del week end all’ora di pranzo del sabato. Poi il turno si completa con altri posticipi rarefatti tra il tardo pomeriggio del sabato stesso, la domenica e la sera del lunedì – anche se il Monday Night non è una regola fissa. Con il nuovo contratto si parla anche di gara da disputarsi il venerdì sera, una novità assoluta per la Premier. Eppure c’è un dettaglio che forse troppo spesso viene ignorato, sottovalutato o semplicemente omesso: a fronte di quattro, massimo cinque partite della Premier trasmesse in diretta televisiva, per vedere tutte le altre non rimane che munirsi di biglietto di ingresso allo stadio. Alle 15 di sabato pomeriggio Sky e le altre televisioni britanniche non mandano in onda alcun match di nessuna divisione professionistica inglese. Un’altra buona ragione per cui gli impianti di provincia o delle grandi città sono tutti o quasi pieni, in Premier ma anche nei campionati minori, mentre da noi in tanti appassionati preferiscono dotarsi di schede e decoder.

Quanto è diverso il calcio inglese da quello italiano, cosa è diventata la Premier e le altre leghe e quanto è cambiata? In questi giorni in libreria il volume di  Luca Manes “Football is coming home, appunti di viaggio nella patria del calcio” (Bradipo Libri). Gli undici capitoli sono altrettante tappe nelle principali città del football d’oltre Manica, tra aneddoti, riflessioni personali e pareri illustri. E forse aiutano anche a capire come mai, nonostante i miliardari russi, arabi e tailandesi che comprano squadre e pompano soldi, nel campionato più ricco del pianeta si producano sorprese e novità come quella del Leicester di Claudio Ranieri.